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All’UE il Nobel per la (missione di) Pace

11.11.2012, Articolo di Agostino Arciuolo (da “Fuori dalla Rete” – Ottobre 2012, Anno VI, n.4)

“Fecero il deserto e lo chiamarono pace” (Publio Cornelio Tacito)

Il Comitato norvegese dei Nobel ha deciso di assegnare il Premio Nobel per la Pace 2012 all’Unione Europea. (Con queste parole esordisce il comunicato ufficiale che la giuria del Nobel ha diffuso in data 12 ottobre 2012, unitamente all’assegnazione del premio all’istituzione europea. Ora, non è per voler fare a tutti i costi l’antagonista – lungi da me, anzi, qualsiasi retorica antieuropeista – ma, a mio modesto parere, questo Nobel non è per niente meritato. Questa è la mia opinione, e tenterò di argomentarla nelle parentesi che aprirò di volta in volta in commento al testo con cui la commissione norvegese ha motivato la suddetta decisione. Chi scrive, va detto innanzitutto, è convinto che la pace non sia solo semplice non-belligeranza, temporanea distensione dei rapporti diplomatici; e che, di contro, la guerra non sia soltanto occupazione militare, sparatorie e bombe a grappolo. Pari violenza può nascondersi in ogni parte della società: dalle mura domestiche ai capannoni di campagna, dalle carceri agli uffici amministrativi di una banca o di una multinazionale, da un clacson suonato in pieno traffico cittadino al linguaggio televisivo sorbito sulla poltrona di casa. Mi sia poi concesso esprimere, prima di procedere, un auspicio a mo’ di avvertenza per la lettura: che l’ironia, magari anche facile, e il tono spesso provocatorio non diano l’impressione di una polemica sterile e fine a se stessa, ma suonino come il tentativo di fornire a chi legge spunti critici sulle questioni affrontate, stimoli di riflessione, domande – fossero pure senza risposta) L’Unione e i suoi leader hanno contribuito in oltre sessant’anni ai progressi nella pace e nella riconciliazione, nella democrazia (Democrazia? Per caso quella dei mercati finanziari che continuano a stringere il cappio al collo, imponendo politiche economiche sempre più restrittive, agli stati europei più deboli e indebitati, noi compresi? O forse quella che, almeno qui da noi, non permette agli elettori di scegliersi i parlamentari?) e nei diritti umani in Europa. (I diritti di quali umani? Forse dei cittadini privilegiati, quelli di prima classe, ma certamente non di tutti. Il comitato, mi chiedo, non ha proprio nulla da dire sul trattamento riservato da molti Stati dell’Unione ai tanti migranti extracomunitari? Sul fatto che spesso vengano detenuti per mesi e mesi in veri e propri campi di concentramento che abbiamo pure il coraggio di chiamare, tanto per tenerci pulita la coscienza, Centri di Permanenza Temporanea? Nulla da dire sul fatto che il Mare Nostro, più che farsi ponte di connessione tra culture, ospita ormai quasi più portaerei e navi militari che pescherecci? Senza contare, poi, che uno dei paesi fondatori dell’Unione – indovinate un po’ quale… – è stato di recente giudicato responsabile della morte in mare di ben 63 migranti in fuga dalla Libia, peraltro proprio mentre, ironia della sorte, questo stesso paese mandava i suoi cacciabombardieri in terra libica, suo ex dominio coloniale…)

Negli anni della guerra, il Comitato norvegese dei Nobel consegnò diversi premi alle persone che si erano impegnate nel cercare di far riconciliare Francia e Germania. (Lo stesso Comitato che nel 1973 diede il premio a Henry Kissinger, il più guerrafondaio tra i segretari di Stato statunitensi, per aver avviato le trattative che avrebbero poi portato alla fine della guerra in Vietnam; lo stesso comitato che nel 2009 diede il Nobel sulla fiducia a Barack Obama, il quale però, al di là dei suoi indubbi meriti, resta pur sempre il Presidente della nazione che ancora oggi, a tre anni di distanza, conta con il maggior numero di fronti aperti in giro per il mondo.) A partire dal 1945, quella riconciliazione è diventata realtà. La terribile sofferenza nella Seconda guerra mondiale ha dimostrato la necessità di una nuova Europa. (Su questo non si discute! E bisogna dire, in tutta onestà, che gli sforzi compiuti e gli obiettivi raggiunti in tal senso sono stati, a giudicare col senno di poi, durevoli ed efficaci. E ciò depone, naturalmente, a favore delle tesi del Comitato. Eppure, dico io, può bastare il mero e reciproco non farsi guerra per essere assurti a paladini della pace nel mondo?) Oltre un periodo di settant’anni, Germania e Francia hanno combattuto tre guerre. Oggi una guerra tra Germania e Francia è impensabile. (Già, perché ora combattono una di fianco all’altra in diverse parti del mondo! Basti pensare, un esempio per tutti, che da ben dodici anni le forze militari di mezza Europa, accodatesi senza fiatare all’impeto guerrafondaio degli Stati Uniti, sono impegnate in una inutile e dilaniante guerra – sebbene, a pensarci bene, sembrerebbe più calzante l’espressione “missione di pace”, visto che siamo pure in tema! – in Afghanistan.) Questo dimostra come nemici storici possano diventare partner molto stretti (Partner: i membri della commissione non avrebbero potuto usare termine migliore!), attraverso sforzi condivisi per creare reciproche complicità. (Soprattutto, mi permetterei di aggiungere al proposito, quando gli interessi in gioco sono allettanti – vedi, per dirne una, l’intervento militare in Libia dello scorso anno, fortemente voluto proprio dalla Francia. La stessa Francia che, proprio qualche giorno fa, in perfetto stile neocoloniale, si è fiondata in un’altra esperienza militare in Mali. Sarà una “missione di pace” pure questa?)

Negli anni Ottanta, la Grecia, la Spagna e il Portogallo si sono uniti alla UE. (Sbaglio o i tre paesi menzionati sono proprio quelli maggiormente vessati dalle imposizioni della Banca Centrale Europea? Sembra difficile che gli autori del testo non ci abbiano pensato mentre lo redigevano…) L’introduzione della democrazia fu una condizione necessaria per il loro ingresso. La caduta del muro di Berlino ha reso possibile l’ingresso nella UE di altri paesi dell’Europa centrale e orientale, aprendo una nuova era nella storia europea. (L’era della globalizzazione capitalistica all’insegna del liberismo più sfrenato, suggellato dai trattati di Maastricht prima e di Lisbona poi. Nel primo di essi, a proposito di politica estera comune, si legge: “La sicurezza dell’Europa non si limita alla sicurezza in Europa. […] Il rischio per la sicurezza proviene principalmente […] dall’asimmetria tra Europa e Nord Africa in termini economici e nella crescita della popolazione”. Parole che, al netto degli inquietanti eufemismi, suonano quasi come una preventiva minaccia di guerra a chiunque si permetta in futuro di disturbare la placida vecchia Europa. Come a dire: lasciateci in “pace” – per l’appunto… – altrimenti guai a voi!) La divisione tra Est e Ovest è arrivata dopo grandi sforzi a una fine; la democrazia si è rafforzata; molti conflitti etnici sono stati risolti. (Ma ancora moltissime minoranze restano escluse, offese e bistrattate, e spesso direttamente a causa di misure governative: dico solo che, appena un anno fa, Nicolas Sarkozy, allora Presidente in carica di una delle principali potenze europee, ordinò lo sgombero immediato e pianificato dei campi rom in tutto il territorio francese. Per non parlare di quello che succede al di qua delle Alpi…)

L’ammissione della Croazia come nuovo membro il prossimo anno, l’apertura dei negoziati con il Montenegro, e la Serbia come membro candidato all’ingresso, sono fattori che rafforzano il processo di riconciliazione nei Balcani. (Processo accelerato, sul finire degli anni Novanta, a suon di bombe…) Nell’ultimo decennio, la possibilità di includere nella UE anche la Turchia ha portato a progressi nella democrazia e nel rispetto dei diritti umani in quel paese. (Come se, malgrado non l’avessimo voluta nell’Unione, i progressi che ha conosciuto di recente la Turchia fossero merito nostro. Poco ci manca che non facciamo pure la guerra al suo fianco contro la Siria… Così, tanto per farle vedere come si fa!)

L’UE sta affrontando grandi difficoltà economiche e un forte malcontento. (Ecco finalmente, dopo la brevissima ricostruzione storica, un po’ di luce sul presente. Peccato che il discorso appena aperto venga troncato sul nascere, come se si fosse aperta una parentesi fastidiosa, certamente non eludibile, ma da chiudere alla svelta.) Il Comitato norvegese dei Nobel desidera concentrarsi su ciò che reputa il più importante risultato raggiunto dalla UE (Un bel “Ma” a inizio frase ci sarebbe andato a pennello! Ed è qui che, tra le righe, a me sembra di leggere come, delle grandi difficoltà economiche e sociali appena evocate di sfuggita, al comitato del Nobel non è che gliene importi poi tanto. Come se la pace fosse qualcosa di strettamente riconducibile all’assenza di tensioni diplomatiche fra nazioni, e non fosse piuttosto un clima diffuso e condiviso, un’atmosfera in grado di coinvolgere tutti gli strati di una società, un atteggiamento da portare avanti contro ogni – e dico ogni – tipo di violenza, proprio a partire da quella intimamente legata al sempre più esteso disagio sociale): il successo derivante dallo sforzo per tutelare la pace, la riconciliazione, la democrazia e i diritti umani. (Questo sembra proprio il copia e incolla della frase d’apertura. Pace, riconciliazione, democrazia, diritti umani: belle parole, non c’è che dire. Ma non è che a ripeterle troppo si corre il rischio di banalizzarle, di renderle vuoti eufemismi, pure formalità lessicali?) Il ruolo di stabilizzatore svolto dalla UE ha contribuito a trasformare in buona parte l’Europa, da un continente di guerra a uno di pace. (Un continente di pace… Certo, dentro i nostri confini. E nel resto del mondo? Per quello ci stiamo attrezzando, e finora si è fatto il possibile per esportarla. D’altra parte, siamo o non siamo in “missione di pace”?)

                                                                                                       

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