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Il Vescovo Cione, orgoglio di Bagnoli

10.08.2012, Articolo di Francesca Festa (tratto da “Il Corriere” del 5.8.2012)

Un doveroso discorso commemorativo in onore del compianto e venerato Monsignor Giuseppe Maria Cione Vescovo di Policastro si tenne nel lontano 1898 a Bagnoli Irpino. Fu pronunciato solennemente nel giorno delle esequie dal Canonico Generoso De Rogatis a lui legato da un sincero rapporto di stima e di ammirazione.

Un sentito omaggio anche nei confronti del rispettabile Cavaliere Domenico Cione che ebbe la fortuna, dopo la perdita dell’amato padre, di trovare in lui un valido dispensatore di consigli e di affetto paterni. Chiamato ad assolvere questa difficile funzione il canonico non nascose quasi il disagio a trovar le parole adatte per ricordare il caro estinto che fu stella luminosa del cielo irpino, la più bella pianta dei nostri verdi colli. Ottenere dal Signore grandi doni e virtù d’animo, rammentava il religioso, non era di per sé vera gloria se questi valori non vengono adoperati nel modo migliore secondo rettitudine, onestà ed altruismo.

Ricollegandosi alla grande figura di Mons. Cione sosteneva per parole divine che “la vera rinomanza s’acquista solo, quando i doni naturali e soprannaturali si sposano insieme, e fanno mirabile armonia, quando quelli servono di fondamento e di base a questi, e sono come le buone terre, che fecondate poi dalla celeste rugiada della grazia di Dio, danno pieni e bellissimi frutti di vita.” Di uomini grandi ce ne erano davvero pochi ma il Vescovo Cione era uno di questi. In lui si ravvisava l’immagine di Cristo tanta la sua bellezza di mente, di eloquio e di tutta la sua persona. Queste rare doti erano commiste in modo così armonioso che risultava difficile capire se una sovrastasse le altre, la sublimità della psiche e l’energia d’intelletto unite insieme per creare un mirabile equilibrio, una forza interiore che rendeva unico il suo modo di porsi con gli altri.

Come tutti gli uomini grandiosi e di straordinaria cultura aveva l’abilità di farsi comprendere dal popolo, dai fanciulli e dai rappresentanti della scienza. La soavità e la gentilezza tratti distintivi del suo carattere guidato sempre da un amore che in lui “era così pieno ed efficace, che il suo cuore, quasi direi naturalmente, amava Dio e gli uomini, la scienza e l’arte, la Chiesa e la patria”. Con la sua dolcezza infondeva coraggio e benevolenza ai fedeli e agli interlocutori, il suo sguardo magnetico e profondo inspirava sentimenti di fiducia e di purezza. Seppe rendere voluminosi i doni ricevuti dal Signore, li fece risplendere in tutta la loro magnificenza, incarnando il meraviglioso progetto di perfezione voluto dalla mano di Dio. Chi si avvicinava a lui, notava il canonico De Rogatis, era come impresso da un’aura fresca e celestiale, “bastava vederlo, bastava una volta sola parlargli per sentirsi con eguale forza e dolcezza inclinati ad amarlo … questo solo ci può spiegare perché Monsignor Cione avesse tanta grazia, varietà, e copia d’attrattive da innammorare di sé moltissimi, e da innammorarli il più delle volte fortemente e in brevissima ora”.

Come fu la sua vita? Quali gli episodi che scandirono la sua esistenza dedicata al Signore? Lo si ricostruisce nel discorso funebre dove emerge in tutta la sua potenza la figura del Vescovo di Policastro. Nacque il 24 febbraio del 1862 nella nostra cara terra e visse bambino come la delizia della casa. Ragazzino si rifugiò nel seminario diocesano dove iniziò il suo percorso di vita religioso, sentendo forte e chiara la chiamata del Signore. Non deluse le aspettative di chi credeva in lui e nel suo carisma, si formò negli studi e nella letteratura e tra le tante discipline scelse subito, come rapito da repentino fulgore, la scienza sovrana, quella di Dio e delle cose divinamente rivelate. Profonda influenza ebbe la lettura dell’Angelico S. Tommaso, miniera di dottrina e di sapere, da cui attinse le massime più savie e da cui partì per intraprendere il suo percorso religioso. Non appena unto dal sacro crisma già un fervido intelletto e una carità ardente gli battevano nel giovane petto. Poco prima dei trent’anni di età fu prescelto come canonico poi Vicario Foraneo ed Esaminatore Sinodale. Fu subito notato dagli altri Vescovi che lo vollero come Vicario Generale in questa Diocesi e in un secondo momento nelle Calabrie dove si aprì per lui un sentiero di gloria immane. Il Sommo Gerarca apprezzando le sue doti che non passavano inosservate nell’ambito del Concistoro del 18 dicembre del 1871 lo promosse al prestigioso incarico di Vescovo di Policastro. Aveva quarantasei anni. Da qui ebbero inizio le ultime fasi della sua vereconda vita. “Divenuto padre e pastore dei popoli bussentini li portò tutti nel cuoredisse il canonico-e li amò beneficandoli con le opere e con l’esempio. Oh! Con quale animo e con quale affetto ne parlava! Quanta cura si prendeva di loro!…”.

Particolarmente attese fra le sue numerose attività nel contesto diocesano, le visite pastorali che compiva con cadenza annuale. L’amore per la sua persona era dimostrato dall’accoglienza a lui riservata dai villici e dall’intera popolazione che acclamava il suo arrivo, gli andava incontro con gioia ed affetto, i capi delle amministrazioni e perfino gli uomini d’armi non mancavano di salutarlo con stima e rispetto. Dovunque passava e chiunque incontrava infondeva tracce incancellabili di beneficenza e orme luminose che rispecchiavano la tempra beata del suo carattere. “Si porgeva umile e caritativo a tutti- continua nell’elogio- talchè tutti lo amavano quale Padre, e a nessuno ripugnava di aprirsegli, mostrargli i suoi bisogni, e chiedergli aiuti, anzi il più delle volte preveniva i desiderii, e le necessità dei suoi figli tanto era acuto ed amoroso il suo sguardo”. Anche nel temibile e terribile uffizio del comandare riusciva a distinguersi senza apparire troppo duro, esercitandolo con dolcezza e mansuetudine, per questo gli obbedivano sempre e senza troppa difficoltà.

Una grande capacità comunicazionale la sua, accompagnata da parole e sguardi d’affetto, a volte non aveva neanche bisogno di comandare, era sufficiente indovinare il suo desiderio per eseguirlo senza fatica e quasi in automatico. Altro immenso dono che gli fece il Signore era la giusta severità di disciplina “la giustizia, quel raggio dell’intelligenza suprema, quella pura sorgente di privata e pubblica felicità, quella base irremovibile del riposo sociale fu sempre nel suo cuore, nella sua mente, nei suoi giudizii”. Altrettanta devozione impiegò per i giovani seminaristi, la speranza della Chiesa del futuro, interpellò artisti per abbellire il Seminario e Professori per renderlo più dotto, addirittura si gravò di diversi debiti per portare avanti questo ambizioso progetto anche a costo di dover vendere in punto di morte i suoi mobili e perfino le sue vesti per pagare i creditori. Opere gloriose che nessun fedele di questa diocesi dovrebbe mai dimenticare tenendo bene in mente il suo mirabile esempio come fece il vescovo di Nusco Monsignor Consenti che parlando di lui disse una volta: “ Monsignor Cione è gloria della mia Diocesi!” Era particolarmente caro al sommo gerarca Leone XIII e nell’ultima visita Ad Limina Apostolorum lo incaricò di occuparsi degli affari diocesani.

Il grido dei bagnolesi era più vivo che mai, si invocava dopo la sua morte, invano il suo nome! Si cercava dappertutto la fiaccola ardente, la guida di solerte consiglio, lo stimolo di carità e il raro esempio di evangelica osservanza! La terra, i cittadini e i credenti della Diocesi per la quale diede la sua stessa vita lo piangeva con dolore e il canonico De Rogatis in unione a questo coro ferale proclamava: “Salve, o spirito eletto, o anima grande, io ti saluto in nome della terra natale che ti raccolse infante, e ti vide crescere a sua gloria ed onore, ed oggi qui in questo tempio ne confessa l’estremo dolore … Io ti saluto in nome del clero della tua patria, e della tua Diocesi, e dei tuoi cari giovani seminaristi, che certo non mai desisteranno dal versar lagrime sulla tua cara memoria”. Un discorso commovente ed intenso quello di don De Rogatis a ricordo di un grande Vescovo che illuminò l’Irpinia terra sua d’origine e il Cilento dove svolse la sua impegnativa opera di evangelizzazione.

                                                                                                       

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