Articoli

Raccolta di articoli, opinioni, commenti, denunce, aneddoti e racconti, rilevati da diverse fonti informative.

Avvisi e Notizie

Calendario degli avvenimenti; agenda delle attività; episodi di cronaca, notizie ed informazioni varie.

Galleria

Scatti “amatoriali” per ricordare gli eventi più significativi. In risalto volti, paesaggi, panorami e monumenti.

Iniziative

Le attività in campo sociale, culturale e ricreativo ideate e realizzate dal Circolo “Palazzo Tenta 39” (e non solo).

Rubrica Meteo

Previsioni del tempo, ultim’ora meteo, articoli di curiosità ed approfondimento (a cura di Michele Gatta)

Home » Focus

Fratelli d’Italia nessuno vi ama

18 giugno 2010, di Miguel Gotor (Ilsole24ore)

È di ieri l’altro l’attacco del Wall Street Journal in cui si afferma che «l’Italia non è come le altre democrazie occidentali». Nulla di nuovo sotto il sole. Se vogliamo restare con il viso schiacciato sulla vetrina della contemporaneità, sarà sufficiente ricordare la P38 poggiata su un piatto di spaghetti dello Spiegel nel 1977, le copertine dell’Economist del 2001 su Berlusconi «unfit to lead Italy», le reazioni isteriche della stampa francese all’indomani della sconfitta ai Mondiali del 2006, quando fu orchestrata una campagna mediatica in cui sembrava che l’Italia, fortunata ai rigori, avesse vinto grazie all’insulto razzista di un masnadiere.

In realtà, la storia dei pregiudizi sull’Italia sprofonda nei secoli e ha un momento di coagulazione nel grumo delle guerre d’Italia tra il 1494 e il 1559, quando la penisola si trasformò in un campo di battaglia percorso dagli eserciti stranieri: ad Erasmo gli italiani apparivano nel 1530 come tante gru avvezze a reggersi in equilibrio su una gamba sola «in segno di rispetto» cortigiano per il padrone di turno. In questa temperie storica si formarono una serie di immagini (fino alla definizione di Goethe su Napoli «paradiso abitato dai diavoli») che avrebbero attraversato i secoli senza rischiare di passare in disuso. Gli architravi di questa retorica del pregiudizio, un vero e proprio luogo-comunismo straniero, fanno dell’italiano il prototipo del traditore, dell’inaffidabile, del corrotto, del furbastro, dell’imbelle, dell’opportunista, dell’effeminato.

L’aspetto più curioso di questo sguardo antico e di lunga durata è la sua differenziazione prospettica: gli italiani che da secoli si percepiscono al proprio interno come forestieri attribuiscono una serie di caratteri negativi all’uomo del Sud. Quei caratteri però diventano poi geograficamente intercambiabili e, nello sguardo straniero, l’unico in grado di unire effettivamente la penisola, l’Italia si riscopre tutta meridionale.

Il tratto comune di questo atteggiamento è la mancanza di un patriottismo medio, in ragione del quale oscilliamo di continuo tra due poli opposti: l’esaltazione becera e arrogante di una presunta superiorità italiana (spesso declinata secondo identità comunali o regionali) e un manifesto senso d’inferiorità e d’esterofilia che trova piena espressione di sé nelle abusate maschere dell’anti-italiano e dell’arci-italiano, due facce della stessa medaglia.

Ma accanto a un patriottismo debole, cosa alimenta un simile atteggiamento? Tra i principali guasti causati da un fenomeno serio e grave come quello dei cosiddetti “cervelli in fuga” non vi è solo il danno economico di una serie di talenti costretti a emigrare in cerca di fortuna, che dunque realizzano all’estero i loro progetti dopo essere stati formati in Italia fino alla laurea e oltre. Chi gira il mondo sa di trovare ovunque un italiano che si è fatto strada nella ricerca e negli studi, evidentemente perché quegli agenti formatori, scolastici e universitari, non devono poi essere così malaccio come si dice.

Purtroppo, l’altra involontaria conseguenza di questo fenomeno è che costoro si trasformano, come dargli torto, in migliaia di agenti esterofili e anti-italiani che non perdono occasione per pubblicizzare il loro risentimento verso un paese dal quale si sono sentiti traditi.

Anche in questo caso si tratta di attitudini antiche. Nel 1588 l’erudito Giovanni Botero nell’indirizzare un avvertimento a coloro che intendevano studiare nelle università italiane scriveva: «Ivi la penna si tramuta in pugnale, il calamaio in fiasca della polvere da sparo, le disquisizioni in risse sanguinose… la sincerità è dileggiata e disprezzata, modestia e riservatezza sono additate a discredito e vergogna».

Certo, non mancano nostre responsabilità, non tutte imputabili al connaturato cosmopolitismo delle classi dirigenti italiane sulle quali Antonio Gramsci ha scritto pagine ancora vive. Magari fosse solo così. Nel 1765 l’economista Gian Rinaldo Carli, in un libro significativamente intitolato Della patria degli Italiani, segnalava l’esistenza di «un genio mistico degl’Italiani, che gli rende inospitali e imimici di loro medesimi e d’onde per conseguenza ne derivano l’arenamento delle arti e delle scienze e impedimenti fortissimi alla gloria nazionale, la qual mal si dilata quando in tante fazioni o scismi viene divisa la nazione». Non sappiamo fare sistema e non da oggi.

Insomma, viva la libertà di critica, ma lasciamo da parte l’insulto e il disprezzo perché non esistono figli e popoli di un Dio minore. Anzi, ai più scettici si rinnova l’invito a leggersi il ginevrino Sismondi, il quale nei primi anni dell’Ottocento ricordava che «l’Italia è la terra della libertà; propria là il popolo l’ha capita meglio e difesa più generosamente, due secoli prima che i comuni di Francia o d’Inghilterra, di Spagna o di Germania, fossero usciti dalla schiavitù. L’Italia deve alla libertà che ha conquistato per se stessa e che ha insegnato al mondo tutto quel che ha conosciuto di gloria e prosperità».

Che dire? Chapeau.

                                                                                                       

Lascia un commento!

Devi essere logged in per lasciare un commento.