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Il ciclismo nella morsa del doping

21.05.2012, Articolo di Jessica Patrone (da “La Calzetta del Giro”, numero speciale del giornalino “Fuori dalla Rete” del 13.5.2012).

Mettere da parte la sportività preferendo vittorie e successi. La salute a rischio.

Il ciclismo è uno sport faticoso che richiede numerose ore di allenamento e sforzi che il corpo umano spesso difficilmente può reggere. Dopotutto un campione si distingue proprio per la sua stoffa, la resistenza alla fatica, la determinazione e la passione riposta nel praticare lo sport che ama, ma fino a che punto questi valori tanto decantati contano al giorno d’oggi?

L’aspirazione è quella di vincere, superare ogni avversario, ottenere il successo e in casi come questi poco conta il come si arriva al traguardo, l’importante è essere primi. Non si vuole con queste parole generalizzare il discorso a ogni singolo atleta, in questo caso ciclista, ma semplicemente spingere alla riflessione, bisogna purtroppo rendersi conto che il mondo dello sport è ormai palesemente minacciato dalla sempre più frequente pratica del doping. Possiamo dire, in effetti, che il doping ha una storia antica quanto quella dello sport. Di fatto, già all’epoca delle seconde olimpiadi, nel 668 a.C., documentazioni storiche ci raccontano l’abitudine degli antichi atleti greci di utilizzare funghi allucinogeni, erbe ed altre sostanze, per incrementare le loro prestazioni sportive. Oggi ovviamente non si ricorre più a simili “mezzucci”, il progresso vuole che si utilizzino sostanze chimiche ben più complesse, per citarne alcuni: stimolanti, anabolizzanti, ormoni della crescita, eritropoietina (EPO). Si tratta perlopiù di farmaci che servono per ridurre la percezione della fatica, migliorare la prontezza dei riflessi, accrescere la forza e la resistenza muscolare, controllare la frequenza cardiaca e respiratoria, ridurre il peso corporeo, attenuare l’ansia. Le amfetamine sono stimolanti del sistema nervoso centrale e sono assunte dagli atleti per ridurre la fatica e migliorare il rendimento sportivo. Elevando la soglia di percezione della fatica gli stimolanti spingono l’organismo oltre i propri limiti. Gli effetti collaterali della loro assunzione sono: insonnia, mal di testa, vertigini, ansia, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, palpitazioni, agitazione e delirio. Le amfetamine aumentano anche l’aggressività e l’uso prolungato o ripetuto può portare a dipendenza e a gravi reazioni di tipo psichiatrico. Non minori sono le conseguenze per l’utilizzo di anabolizzanti. Questi ormoni vengono impiegati, a dosi molto elevate, per accrescere la massa e la forza muscolare, ma i risultati sono riscontrabili solo in alcuni atleti e solo se vengono abbinati ad una dieta appropriata e ad un programma di allenamento controllato. I rischi per la salute legati all’uso di anabolizzanti sono molteplici. Oltre a difetti nella struttura del tessuto connettivo che predispongono a rotture dei tendini sottosforzo, gli anabolizzanti possono provocare numerosi altri effetti tossici, in molti casi irreparabili.

Per quanto riguarda l’assunzione degli ormoni della crescita sappiamo che essa gioca nell’adulto un ruolo fisiologico importante nel regolare la composizione corporea, con meccanismi di tipo anabolizzante. Queste proprietà hanno reso l’ormone della crescita un farmaco di riferimento per gli atleti di alto livello e i culturisti anche se gli studi hanno chiaramente dimostrato che l’ormone non è in grado di aumentare il volume e la forza muscolare o la sintesi proteica in misura superiore a quanto ottenibile col solo allenamento intenso, né in adulti in buona salute né in atleti molto allenati. La somministrazione cronica può, invece, produrre modificazioni scheletriche e aumentare il rischio di ipertensione, cardiopatie, ictus, diabete, artrosi e morte prematura. Coinvolto in misura maggiore nei casi più recenti di doping è l’ormone EPO. In medicina, l’eritropoietina e la più recente darbepoetina servono per curare alcune forme di anemia. L’ormone stimola, infatti, la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo, aumentando di conseguenza sia il volume dei globuli rossi che la concentrazione di emoglobina nel sangue. L’eritropoietina migliora la capacità del sangue di trasportare ossigeno, il combustibile che i tessuti utilizzano per bruciare gli zuccheri e quindi per ottenere più energia per le prestazioni muscolari e per aumentare la resistenza alla fatica. Viene usata, soprattutto da chi deve affrontare gare che richiedono sforzi prolungati. Oltre a causare mal di testa, dolori articolari, ipertensione arteriosa e convulsioni, l’eritropoietina aumenta la viscosità del sangue e di conseguenza anche il rischio di ictus e infarto miocardico. Ognuno di questi farmaci offre un’ampia gamma di vantaggi nelle prestazioni, anche se spesso non si tiene conto degli effetti collaterali di queste dannose assunzioni.

Il mondo del ciclismo detiene purtroppo un triste primato in fatto di doping. Sempre più spesso di fronte ai duri percorsi di gara i ciclisti preferiscono seguire questo genere di scorciatoie. Assumere ormoni e un costante allenamento possono apparentemente rappresentare la ricetta del successo. Indubbiamente i risultati sono evidenti, ma si tratta di false vittorie. Nel corso degli ultimi anni spesso i grandi protagonisti delle corse più famose sono stati colti con le mani nel sacco, ed hanno dovuto restituire onori e glorie illecitamente conquistati. La prima morte che con sicurezza è stata determinata da una sostanza dopante è avvenuta nel 1886. Si trattava del ciclista gallese Arthur Linton, diventato famoso proprio per essere stato la prima morte accertata per doping, e fu causata dal trimetil, uno stimolante del sistema nervoso centrale. Avanti nel tempo l’elenco ha iniziato a divenire più folto. Primo fra tutti il caso dell’inglese Tom Simpson la cui morte nel corso del Tour de France del 1967 destò molto stupore. Simpson è considerato una delle prime vittime del doping, stroncato da un infarto causato probabilmente dell’utilizzo di anfetamine. Volendo considerare i casi più recenti cominciamo dal 1997 quando l’ucraino Djamolidine Abdoujaparov, vincitore della classifica a punti del Tour 1991, 1993 e 1994 e di quella del Giro del 1994, viene squalificato per due anni. Nel 1998 Alex Zulle, vincitore della Vuelta a Espana nel 1996 e nel 1997, medaglia d’oro ai mondiali di Lugano del 1996, ammette di aver fatto uso di EPO e viene allontanato dalla federazione svizzera per otto mesi. Steven Rooks nel 1999 dichiara pubblicamente di aver fatto uso di testosterone e anfetamine nei suoi tredici anni di carriera, denuncia in questa occasione anche la pratica del doping di squadra, i cui medici prescrivevano ai propri atleti farmaci vietati. Il 1999 è anche l’anno di Marco Pantani che a causa di un valore ematocrito troppo elevato viene escluso dal Giro. Medesima sorte per il russo Evgenij Berzin, vincitore del Giro nel 1994, ne viene squalificato nel 2000 accusato di aver fatto uso di EPO. Giorgio Furlan, a carriera conclusa, nel 2000 viene deferito dal Coni per doping ematico. Probabile inquinamento alimentare per Stefano Garzelli, vincitore del Giro nel 2000, che due anni dopo viene squalificato per undici mesi nel corso della classifica Liegi- Bastogne-Liegi. Nel 2004 Oscar Camerzind, campione del mondo in linea nel 1998, risulta positivo all’EPO e ammettendo le sue colpe poco dopo si ritira. Tyler Hamilton, vincitore della medaglia d’oro ai Giochi olimpici di Atene nel 2004, secondo al Giro rosa del 2002, risulta essere il primo ciclista trovato positivo ad un’emotrasfusione. Viene squalificato fino al 2006. Lo spagnolo Roberto Heras, tre volte primo alla Vuelta a Espana, viene squalificato per due anni nel 2005 e gli viene revocata la quarta vittoria nella Vuelta conquistata quello stesso anno. Tra il febbraio e il maggio del 2006 in Spagna ha luogo un’indagine relativa al doping sportivo che prende il nome di ‘Operacion Puerto’. L’elenco degli indagati si estende a medici, direttori sportivi, allenatori e ovviamente ciclisti. La carriera dello spagnolo Joseba Beloki, secondo al Tour del 2002, terzo a quello del 2000 e del 2001, termina nel 2006 dopo essere stato coinvolto nell’operazione. L’italiano Ivan Basso, primo al Giro del 2006 e del 2010, nel giugno del 2006 viene estromesso dal Tour de France a causa dello scandalo legato all’Oparacion Puerto; viene squalificato per due anni dalla Federciclismo nel 2007 dopo aver ammesso l’utilizzo di pratiche dopanti. Un secondo italiano coinvolto è Michele Scarponi, squalificato per diciotto mesi nel 2007 dalla Commissione disciplinare della Federalciclismo per aver violato un articolo del codice Wada (World Anti-Doping Agency). Già squalificato nel 2003 per essere stato trovato positivo alle anfetamine, poi coinvolto nell’operazione spagnola, il tedesco Jan Ullrich, vincitore del Tour del 1997 e della Vuelta nel 1999, annuncia il ritiro nel febbraio del 2007. Implicato nell’Operacion, Alejandro Valverde viene definitivamente sospeso dalle gare nel 2010. Tanti, tantissimi i ciclisti trascinati nello scandalo doping e a questo già numeroso elenco sono ancora da aggiungere i casi più recenti. Riccardo Riccò, secondo al Giro d’Italia del 2008, viene fermato al Tour dello stesso anno per una notifica di positività all’eritropoietina: la Saunier Duval, il team per il quale correva, lo licenzia e con lui il compagno di stanza Leonardo Pieppoli. Nel 2009 Davide Rebellin viene trovato positivo all’EPO durante i Giochi olimpici di Pechino e la sua medaglia d’argento gli viene revocata. Danilo Di Luca italiano, vincitore del Giro rosa nel 2007, risulta positivo al Cera durante il Giro del 2009: viene squalificato nel febbraio 2010 dal tribunale antidoping del Coni. Risale al 2010 anche la prima accusa per Alberto Contador, squalificato il 6 febbraio 2012 dal Tribunale Arbitrale dello Sport per due anni. La squalifica ha effetto retroattivo, partendo da agosto 2010, e scadendo quindi il 6 agosto 2012. A Contador sono quindi revocate le vittorie conseguite nel periodo incriminato, tra cui il Tour de France 2010 e il Giro d’Italia 2011. Da anni i nomi di grandi atleti finiscono per essere scritti in liste come questa che portano a sminuire miti di campioni amati ed ammirati e poi scoperti invece ad imboccare vie secondarie per ottenere i migliori risultati. Ci sembra di capire che l’utilizzo di particolari sostanze sia oggi una prassi del mondo dello sport, in modo particolare quello del ciclismo. Ci si chiede in che modo porre fine alla diffusione di tali pratiche, ma in realtà non esiste un effettivo antidoto per far fronte a questa corruzione che rischia di condurre il ciclismo alla deriva, ridotto a semplice fenomeno da baraccone. È vero che oggi lo sport è perlopiù spettacolo, fonte di interesse economico e quant’ altro, ma ciò non significa poter ricorrere a mezzi secondari e non concorrere alla pari. Si dovrebbe lavorare molto sull’intero ambiente sportivo, cercare di ricondurre gli atleti a quei pochi valori etici, rispetto degli avversari, onestà che purtroppo oggi passano molto spesso inosservati. La cosa può far sorridere, ma bisogna ricordare sempre che lo sport è anche questo. Ogni atleta dovrebbe poi tener sempre presenti i gravi rischi che corre per la propria salute compromessa dall’utilizzo di tali sostanze. Una maggiore consapevolezza dei rischi e un minimo di buon senso associati a capacità, allenamento e voglia di vincere dovrebbero rappresentare le basi essenziali per le migliori prestazioni sportive. Si tratta però di un idea di sport destinata a rimanere semplice utopia. In un periodo in cui i valori contano ben poco lo sport pulito rimane ancora un lontano miraggio.

                                                                                                       

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