Se sul tatuaggio c’è Cesare Pavese
15.04.2012, La Stampa (di Lorenzo Mondo)
Raccolgo una notizia graziosa, magari minima, che è stata sopraffatta in questi giorni da ben altri, inquietanti resoconti di cronaca. Riguarda Ines, una giovane donna di Sanremo che confida di nutrire una grande passione per Cesare Pavese, proprio lui, lo scrittore. Le è stata trasmessa dalla madre, che allineava le sue opere nella libreria di casa.
«Tutto è cominciato – racconta – quando ho preso in mano Il mestiere di vivere. Adesso ha 23 anni, a quel tempo ne aveva 12, e doveva essere piuttosto precoce, e corazzata, per affrontare, sia pure a spizzichi, un libro così tormentato e tosto come il diario di Pavese. Magari sulla circostanza è tradita dalla memoria, ma resta il fatto che, dopo un primo approccio, si è tuffata a leggere tutte le poesie e i romanzi del suo autore: «Ho cominciato a conoscerlo e a conoscere me. Non mi ha più lasciato, è come un vecchio caro amico che non ti abbandona mai». Adesso sogna, per il suo compleanno, di recarsi a Santo Stefano Belbo, a visitare i luoghi di Pavese: la casa natale, la falegnameria di Nuto, le fascinose colline de La luna e i falò.
Sono numerosi i giovani, soprattutto le scolaresche italiane e straniere, che arrivano a Santo Stefano in viaggi di istruzione patrocinati dalla Fondazione Pavese. Dove sta dunque la notizia, che cosa di originale rappresenta la storia di Ines? Mi ha colpito la sua idea di farsi tatuare sul braccio il volto dell’amato scrittore. Anche qui, occorreva un certo coraggio: Pavese, si sa, non era un allegrone e la sua immagine non sembra conciliarsi troppo con le braccia scoperte di una ragazza, da esporre, che so, in una giornata di sole e di mare.
Confesso inoltre che nutro qualche pregiudizio sul vezzo dilagante di offrire la propria pelle alle incisioni, si tratti di arabeschi, figure o mottetti. Se è per bellezza, nulla aggiungono ai doni naturali, mentre non redimono le scarse attrattive. Peggio ancora se si vogliono esibire messaggi più o meno allusivi, che potrebbero esprimersi convenientemente da chi possiede il buon uso della parola, e di un semplice sguardo. Ma tant’è, anche Ines si è piegata al tatuaggio. Il suo cedimento finisce tuttavia per rovesciarne il senso e, magari inconsapevolmente, contestarlo alla radice. Sbalordisce cioè il fatto che abbia reso omaggio sul suo braccio, non a un cantante, un attore, un personaggio televisivo – spesso icone di una soverchiante futilità – ma ad uno scrittore. Dopo avere confessato per di più di averlo letto e meditato. Per questa ammissione, che tanti coetanei riterranno incomprensibile, la sua bizzarra decisione merita di essere accolta con simpatia.