Così si festeggiava la Pasqua
11.04.2012, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere” del 08.04.2012)
La Settimana Santa appariva come il periodo più solenne per consegnare agli iniziati il segreto delle formule propiziatorie. Nella cultura contadina era associata, infatti, ai riti propiziatori di fecondità.
La festività della Pasqua, che rimane una delle feste principali del calendario cristiano, ha una posizione centrale, cadendo quaranta giorni dopo le Ceneri (giorno dell’umiliazione di Cristo uomo) e quaranta giorni prima dell’Ascensione (giorno della esaltazione di Cristo dio). La scelta di far cadere la Pasqua dopo l’equinozio di primavera fu dettata alla Chiesa dall’esigenza di sostituire con una grande festa cattolica i riti pagani propiziatori della fecondità, che cadevano al termine dell’inverno. La resurrezione di Cristo si adattava bene con il risveglio della natura al ritorno della primavera.
Numerosi testimoni indicano la Settimana Santa, e in particolare la Pasqua, come il periodo più solenne per consegnare agli iniziati il segreto delle formule propiziatorie. In particolare, in questa occasione sacra le guaritrici di campagna trasmettevano a una loro giovane comare le formule magiche per la cura del malocchio e della verminazione. La motivazione appare subito chiara: la Pasqua è la resurrezione di Cristo, che sancisce la vittoria sul male più grave che affligga l’umanità, la morte. Quindi, apprendere l’arte magica e le formule terapeutiche in questo tempo impregnato di sacralità (tempus sacrum) da parte del neofito significa ricevere anche la benedizione di Cristo risorto e la virtù certa di curare ogni male.
1. Riti del Sabato Santo
Il Sabato Santo era ritenuto il momento più propizio per lasciare i piccoli a camminare da soli, nell’attimo in cui si scioglievano le campane (a l’assòta re re ccampane) per annunziare la resurrezione di Cristo. Per tutto il tempo che le campane suonavano a gloria, la mamme prendevano i figlioli di pochi mesi, li poggiavano con le spalle alle pareti della chiesa, si allontanavano di tre o quattro passi e, allargando le braccia, li invitavano a raggiungerle; così cercavano di insegnare loro a dare i primi passi. Il rito agiva in virtù del principio mimetico: come si scioglievano le campane, così si scioglievano le gambe dei piccoli nel camminare. Già prima che le campane suonassero a gloria, la chiesa si riempiva di madri che portavano in braccio le loro creature di otto o nove mesi. Allo scoccare delle undici, il sacrestano girava la raganella e dava il segnale. Allora il campanaro scioglieva le campane e principiava a suonarle. Al primo tocco le mamme lasciavano i loro piccoli e, invitandoli a camminare, dicevano: “Mènte la gloria sfila, re creatùre cammìnene!” (Mentre la gloria suona a distesa, camminino i bambini). E allora quasi tutti i bambini davano i primi passi: chi barcollando chi correndo, chi finendo per sbattere di faccia a terra. La Settimana Santa era soprattutto il momento delle coppie di fidanzati, che praticavano vari rituali propiziatori. Nella giornata di Sabato (il rito era diffuso in quasi tutta l’Irpinia), il fidanzato mandava la sua prima sorella in casa dell’amata con un rametto di palma benedetta infilata in un anellino d’oro. A Parolise (fonte: M. Ventola) vi era un’usanza particolare: durante la Settimana Santa, i giovani deponevano del rosmarino sul balcone della ragazza. In questo modo si voleva indicare un amore perfetto. Ma per indicare l’amore più intimo, insieme al rosmarino venivano deposti anche mandarini e arance. Se, invece, venivano deposti dei limoni, significava che l’amore tra i due ragazzi non era perfetto. Se, infine, sempre durante il periodo pasquale il ragazzo andava a deporre sul balcone della sua amata un fascio di fave, indicava il disprezzo totale. La fava ha una forte simbologia erotica; in epoca pagana addirittura rievocava l’immagine della morte. Anche nello scambio dei doni tra due fidanzati non è difficile individuare la sopravvivenza di elementi magici. Interessante a tale proposito è un rituale di natura mimetica, praticato fino a qualche decennio addietro a Nusco. Il Sabato Santo il fidanzato portava alla sua innamorata un cartoccio pieno di nocelle, confetti e semi di grano. Il giorno di Pasqua, poi, l’innamorata ricambiava il dono con l’offerta di una ciambella (tòrtunu), preparata con le sue stesse mani. Ma il ragazzo non consumava tutta la ciambella, ma ne mangiava tre quarti e restituiva quello che restava all’innamorata. La domenica successiva alla Pasqua i due fidanzati avrebbero mangiato insieme il pezzo rimasto della ciambella. Al pari dell’anello, la ciambella agisce come catena spirituale, e questo appartiene a un cerimoniale pagano. Invece, la divisione della ciambella con la ragazza è un’usanza posteriore, che ricorda già la carità della cultura tipicamente cristiana.
2. Rito propiziatorio della fecondità
Per tentare di procurarsi una prole, la donna sterile, ignorando l’origine della sua menomazione, ricorreva sia a operazioni magiche sia a pratiche religiose. Tra le operazioni magiche la più diffusa era la seguente: nella giornata di Pasqua la donna, che ancora non era risultata incinta, mangiava nove uova sode. L’uovo è principio di vita, ma ritengo che vada anche rilevata un’implicazione della Trinità, in quanto l’uovo è trino, composto com’è dal guscio, dal tuorlo e dall’albume. E le uova dovevano essere tante quanti sono i mesi di gestazione, nella speranza di avere finalmente un figlio.
3. Credenze e usanze nella Settimana Santa
In Irpinia, terra a vocazione economica prevalentemente agro-pastorale dal tempo dei nostri antenati di stirpe sannitica, la festività della Pasqua, tipica festa pastorale, era particolarmente sentita e variamente onorata. Tutta la Settimana Santa era costellata di cerimonie religiose, per lo più testimonianza della religiosità popolare, e di riti paganeggianti, retaggio di antiche feste in onore della primavera, che coincideva con l’inizio dell’anno nuovo. Fino a qualche decennio addietro la ricorrenza pasquale era caratterizzata da ritualità cattoliche, che però erano fortemente connotate di paganesimo.
Lunedì Santo
In questa giornata le donne davano inizio alle pulizie di Pasqua, che riguardavano i pavimenti e le pareti interne della casa. Le pentole e le padelle erano state pulite nei giorni di astinenza della quaresima. Per la pulizia dei pavimenti che erano per lo più di cemento, senza mattonelle, si faceva uso della varechina (mmerecina), e si strofinava con forza per eliminare lo sporco. Per tinteggiare le pareti si adoperava la calce. La calce si scioglieva nell’acqua calda e si passava con un pennello sulle pareti che, a causa del fumo del camino, dopo un’invernata intera, si presentavano nere e affumicate. Ma c’era pure chi spruzzava la calce con la medesima pompa solitamente utilizzata per irrorare e disinfestare i vigneti.
Giovedì e Venerdì Santo
Per quanto riguarda il tempo, nella Settimana Santa in genere non è buono; si diceva: se mette mmalincunìa, è mpassione pure esso. Le due giornate erano fortemente indicative del tempo meteorologico. Secondo il proverbio irpino: quannu lu solu re giuvurì nzàcca, re ruméneca avìmu l’acqua (se oggi il sole tramonta tra le nubi, a Pasqua cadrà la pioggia). Invece, Si chiovu r’ viernerì Santu, chiovu maggiu tuttu quanta (Se piove il venerdì Santo, cadrà la pioggia per tutto il mese di maggio). La pioggia caduta nel giorno delle Palme promette tempo buono per Pasqua: Si chiovu ngimm’a r’avrìve (l’albero dell’ulivo), nun chiove ngimm’a r’ove (le uova pasquali).
Sabato Santo
Alle ore dodici le campane annunziavano che Gesù era risorto, sunàva la grolia. Tutti si gettavano a faccia a terra, dovunque si trovassero. Poi, i ragazzi accorrevano in chiesa con i bricchi di alluminio per ricevere l’acqua santa, che bevevano ingordi, e per far benedire le uova sode, che si consumavano durante il pranzo pasquale. Nei casolari di campagna, al primo tocco delle campane che annunziavano la resurrezione del Salvatore, le donne con un bastone o una forcina agitavano le reti dei loro giacigli e ripetevano per tutto il periodo dello scampanio il distico: Fuggi fuggi, cimiciaio /, che ti scaccia il campanaro! In questo modo tentavano di mettere in fuga le cimici dai loro letti.
Domenica di Pasqua
La ricorrenza festiva, che era detta Pasqua r’ l’ove per non confonderla con Pasqua Bbefania, svaria tra i due mesi di marzo e aprile. Con più precisione: Tannu vène Pasqua, quannu cala la luna chiena r’ marzu (Pasqua viene quando la luna piena tramonta di marzo). La domenica di Pasqua vedeva ogni tavola, quella del povero e quella del ricco, sorridere dell’abbondanza dei cibi. Poiché la Pasqua rappresenta la vittoria sulla morte, si festeggiava e si festeggia con vari cibi sacrali: dall’agnello, che simboleggia il Cristo immolato, alla colomba, alla ciambella (tortunu) in cui affondavano le uova sode, benedette in chiesa il Sabato Santo, tante quante erano i componenti della famiglia; all’uovo di cioccolata.