Michele Lenzi, l’Italia unita e la rovina dei nostri tempi
23.02.2012, Articolo di Giulio Tammaro
Forse arrivo in ritardo, perché il 2011 è ormai trascorso e le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sono concluse da un pezzo. L’anno dell’Unità, del sentimento nazionale, del sentirsi Italiani, dell’ essere fieri del proprio Paese e delle celebrazioni è terminato e gli spiriti secessionistici provenienti da nord e quelli neo borbonici che giungono da sud, sono ricomparsi più agguerriti che mai.
Forse arrivo in ritardo ad esprimere la mia opinione, tanto chi se ne frega più dell’unità d’Italia fino alla prossima celebrazione!
Forse facevo meglio a stare zitto o al massimo era più opportuno scrivere di argomenti d’attualità, a chi vuoi che importi nel 2012 dell’Unità d’Italia, ogni argomento va trattato a suo tempo e io pretendo dopo un anno di scrivere di questioni che riguardavano lo scorso anno!
Eppure poco tempo fa mi è capitato di osservare un quadro del Lenzi, e appena domenica scorsa di salire al laceno e scrutare con molta tristezza, come ogni volta accade, l’albergo al lago e non so perché ma mi viene voglia di parlare e di scrivere dell’Unità d’Italia, di chi nel suo piccolo contribuì a quell’ impresa e a cosa ci resta a noi oggi di quell’epopea che cambiò le sorti della nostra Patria.
Quante celebrazioni, quante bandiere tricolori appese ai balconi, quante coccarde appuntate al petto, quanti libri in merito e quante conferenze si sono “sprecate” su questo tema.
Anche Bagnoli ha contribuito degnamente a ricordare quell’epopea risorgimentale che portò, finalmente, dopo secoli di oppressione a riunire il popolo Italiano sotto un’unica bandiera.
L’evento articolato in tre giorni e organizzato dall’amministrazione comunale in collaborazione con varie associazioni e con l’Istituto Comprensivo “Michele Lenzi”, vide coinvolta e interessata tutta la cittadinanza.
All’interno della manifestazione fu dato, come era giusto che sia, ampio risalto alla figura di Michele Lenzi, illustre figlio di Bagnoli, esimio artista, eccellente amministratore nonché valente garibaldino e cassiere dei mille, dedicandogli una conferenza e un’esposizione dei suoi dipinti.
È di questo illustre nostro concittadino che cercherò di focalizzare la mia e spero la vostra attenzione, ma non per ricordare le sue gesta in camicia rossa, o il suo talento con la tavolozza e i pennelli fra le mani, sinceramente non ne sarei nemmeno all’altezza, ma per mettere in risalto alcuni concorsi di eventi.
La figura del Lenzi è stata da sempre associata innanzitutto ai suoi dipinti, al suo amore per l’arte e per il bello e alla sua estenuante battaglia per la tratta Avellino- Rocchetta Sant’Antonio nel suo andamento attuale e che probabilmente fu una delle cause della sua precoce dipartita.
A 150 anni di distanza nel celebrare l’avvenimento e nell’accostare la sua figura all’evento alcune coincidenze emergono.
La pinacoteca comunale sede di alcune delle sue opere e del suo fraterno amico Achille Martelli, allestita nell’ex Palazzo Municipale (o Palazzo della Tenta), alcuni anni fa, da politici lungimiranti, fu smantellata per far posto a degli uffici dell’Ente Parco, il famoso “COL”, di cui oggi misteriosamente si sono perse le tracce, lasciando almeno in chi scrive un dubbio: ma a che cosa serviva e soprattutto occorreva proprio quella sede?
Oggi quelle opere d’arte non hanno una sede, non sono visibili ai visitatori, stanno in qualche alloggio e attendono una degna sistemazione. Si dice, voci di popolo, che per riallestire la pinacoteca e restaurare i quadri occorrano molte migliaia di euro. Nell’attesa che S. Margherita faccia il “miracolo” ma è difficile, accontentiamoci di averli rivisti almeno per un giorno.
La cappella del S. Salvatore sul Laceno, riedificata intorno al 1880, in gran parte a sue spese, (finanziò l’opera con il ricavato della vendita del quadro “Un ospizio sul Laceno”, venduto alla promotrice di Napoli per £ 1.000), oggi è ridotta ad un rudere, e quel albergo costruito, in nome del progresso su di essa, ormai in uno stato fatiscente non è che l’emblema del Laceno.
E dulcis in fundo la tratta Avellino- Rocchetta S. Antonio, da circa un trentennio definita binario morto. In principio si pensò di tramutarla in tratta commerciale, per consentire alle industrie presenti in alta Irpinia di poter trasportare le materie prime e le merci su ferro invece che su gomma, dimenticando che per far ciò occorreva costruire gli insediamenti industriali in prossimità della linea ferroviaria e non a chilometri di distanza. Successivamente dopo circa un quindicennio di oblio, per scongiurare la sua chiusura, si è ipotizzato una linea turistica, ma anche in questo caso nulla si è realizzato, perché probabilmente i costi di gestione che quelli per la riqualificazione della linea erano eccessivi e l’impresa non valeva la spesa e quindi si è deciso che la soluzione migliore era la sua chiusura definitiva, tanto il popolo Irpino, dopo aver dovuto subire, anzi smaltire, la spazzatura di Napoli e provincia, dopo aver visto chiudere alcune sue aziende ospedaliere, in nome dei tagli alla sanità, non credo si sia accorto di un treno in più o un treno in meno che attraversa le sue valli e i suoi monti. (A tal proposito anche se c’è chi paga, il famoso popolo sovrano, almeno si spegnessero le luci in prossimità degli scali ferroviari se il treno non passa a cosa servono tenerle accese? )
Questa signori è l’Irpinia, questa è Bagnoli a 150 anni dall’Unità d’Italia e a 125 anni dalla morte di Michele Lenzi, oggi della sua figura, della sua arte, del suo ingegno cosa ci resta? Praticamente niente, anzi no… non resta che il segno della rovina dei nostri tempi.