Articoli

Raccolta di articoli, opinioni, commenti, denunce, aneddoti e racconti, rilevati da diverse fonti informative.

Avvisi e Notizie

Calendario degli avvenimenti; agenda delle attività; episodi di cronaca, notizie ed informazioni varie.

Galleria

Scatti “amatoriali” per ricordare gli eventi più significativi. In risalto volti, paesaggi, panorami e monumenti.

Iniziative

Le attività in campo sociale, culturale e ricreativo ideate e realizzate dal Circolo “Palazzo Tenta 39” (e non solo).

Rubrica Meteo

Previsioni del tempo, ultim’ora meteo, articoli di curiosità ed approfondimento (a cura di Michele Gatta)

Home » Focus

Il Cile cancella dalla sua storia la parola dittatura

06.01.2012, La Stampa (di  Mimmo Candito)

C’è da pensare che chi ha avuto, laggiù in Cile, questa bella pensata, di far grazia alla memoria di Pinochet, tentando di sostituire «dittatura» con una più pudica parola, «regime», non conosca nulla dell’ironia con la quale Manzoni fingeva di raccontare ai suoi 25 lettori che è «cosa evidente, e da verun negata, non essere i nomi se non purissimi accidenti». Sappiamo bene che le parole sono invece pietre, e che la loro scelta, la loro selezione, determinano assai più d’un astratto e inoffensivo «accidente»: creano realtà, conoscenza, identità.

L’ipocrisia è la veste da camera della politica, addobba ciò che non si deve vedere, lo adorna, ne nasconde le brutture e le miserie. Almeno, in pubblico. Quando, nel silenzio ovattato dello Studio Ovale, il consigliere diplomatico comunicò al presidente Roosevelt che in Nicaragua i militari avevano appena fatto un colpo di Stato, e che quella era proprio una brutta storia perché a prendersi il potere era stato un lercio figuro, un trafficone che in pochi anni era passato da sergente a generale, insomma un autentico figlio di puttana, Roosevelt perse la pazienza per quel panegirico troppo malato di etica e di morale, e battendo il pugno sul tavolo che aveva davanti sbottò: «Sarà pure un figlio di puttana, ma si ricordi che è comunque il “nostro” figlio di puttana». Questo, però, nel chiuso della Casa Bianca.

La politica coltiva i suoi «sons of a bitch», a ogni latitudine. E se la spregiudicatezza con la quale per larga parte del secolo passato Washington sollecitò, approvò, e resse, tutte le dittature che s’impiantavano a sud del Rio Bravo, dal cortile di casa del Centro America fin giù ai generali che, dalle parti di Baires, di Santiago, e di Montevideo, torturavano e ammazzavano a man bassa nel nome di Cristo e della Civiltà Occidentale, non molto di diverso, poi, è accaduto dalle nostre parti, dove soltanto di recente ci si è accorti che nel mondo arabo tutti i nostri «alleati», che per decenni avevamo coccolato per i buoni affari che ci consentivano di fare spartendo con noi i proventi d’ogni investimento, in realtà erano autentici «sons of a bitch», chi più chi meno, certamente, ma tutti della stessa categoria.

L’operazione di pulizia d’un passato disonorevole è stata tentata molte volte, in America Latina, sostenuta da trasformazioni politiche che hanno sì mutato le istituzioni ma hanno anche faticato a impiantare una cultura della democrazia. Il processo del cambio si è attenuato tra le ragioni della «memoria» e quelle dell’«olvìdo», tra la conservazione della conoscenza e l’inevitabile tentazione dell’oblio. In Argentina si è andati avanti per anni con un amaro pendolo che oscillava tra leggi di amnistia e riaffermazione del diritto; così in Uruguay, e in Cile. Alla fine le ragioni del diritto hanno saputo affermarsi, pur con qualche titubanza; ma l’operazione che si sta tentando ora a Santiago è diversa: si è passati dal parziale recupero d’approvazione delle leggi economiche di Pinochet – tentando di innestare un nuovo «accidente», la definizione semi-assolutoria di dicta/blanda al posto della dicta/dura – per arrivare ora a proporre, del tutto, la cancellazione della identità politica di quel tristo periodo che va dal ‘73 al ‘90.

Voler abolire per legge la specificità della «dittatura», trasferendola verso l’ambiguità del «regime», è un progetto che mira a cancellare l’identità d’una azione politica basata sulla violenza e sulla soppressione della libertà, per sostituirla con una più generica e anonima struttura nominale dell’esercizio del potere pubblico. Il 40 per cento dei cileni ha meno di 25 anni, ha dunque vissuto ogni giorno della propria vita – fin dall’atto stesso della nascita – in un tempo nel quale la dicta/dura era soltanto passato, storia, talvolta anche cronaca; a conservarne la memoria c’erano quelle lapidi grigie e quei nomi che stanno a pochi passi dal cancello d’ingresso del cimitero di Santiago ma, soprattutto, c’era un vissuto concreto, forte, reale, di larga parte del Paese, quale che fosse la scelta politica che questo avesse fatto.

Oggi questa memoria di carne si è fatta meno forte, il progetto del ministro Beyer vuole cancellarlo; poi, forse, potrebbe venire il tempo per cancellare quei nomi e quelle lapidi grigie che stanno a pochi passi dal cancello del cimitero. Ancora oggi c’è sempre qualcuno che va a pulirle, a toglierli il velo di polvere, a bagnare qualche raro fiore portato senza nome: ma sono vecchi uomini e vecchie donne. Beyer osserva da lontano, e aspetta.

___________________________________________________________________

06.01.2012, La Repubblica (di OMERO CIAI)

“Quella di Pinochet non fu dittatura”, il Cile cambia i sussidiari dei bambini

La decisione del governo di destra suscita critiche. La figlia di Allende: “È inaccettabile”. Un caso che non aiuta Piñera, ormai in balia dei partiti che lo sostengono: solo il 20% dei cileni approva la gestione del presidente eletto due anni fa.

Il movimento degli studenti universitari in Cile ha già costretto alle dimissioni due ministri dell’Istruzione in meno di un anno. Ma il terzo ministro, appena nominato, rischia di andarsene fra il sarcasmo e l’indignazione di tutta l’opposizione. Harald Beyer ha annunciato ieri che dal prossimo corso scolastico, che inizierà a marzo, dai sussidiari delle elementari scomparirà la definizione “dittatura” per i diciassette anni di Pinochet (1973-90) e sarà sostituita da un più generico “regime militare”.

Simbolicamente è il primo colpaccio della maggioranza di destra andata al potere, per la prima volta dopo vent’anni, con Sebastian Piñera. Presidente che, fin qui, era stato molto attento a non confondere la sua gestione con gli anni della dittatura.

Caustico il primo commento dell’ex presidente democristiano Eduardo Frei: “Una dittatura è una dittatura e basta”. Mentre Lagos Weber, ex ministro portavoce di Michelle Bachelet, ha commentato: “Forse Piñera vuole passare alla storia come il presidente che ha negato l’esistenza di una dittatura? Ogni cosa ha il suo nome e quella di Pinochet non fu un regime militare ma una dittatura”.

Il ministro Beyer si difende precisando che la decisione del governo vuole “invitare al dibattito sugli anni del regime militare” e che, ovviamente, i maestri a scuola potranno continuare ad utilizzare, se vogliono, la parola “dittatura”. Ripulire la memoria

degli anni più bui del regime iniziato con il bombardamento del palazzo presidenziale (la Moneda), la morte di Salvador Allende, e lo sterminio dei suoi collaboratori, è una vecchia ossessione della destra cilena.

Molti di coloro che appoggiano e lavorano con Piñera hanno collaborato politicamente con Pinochet e vogliono imporre una visione revisionista ed annacquata della dittatura dimenticandone gli orrori. Piñera è un presidente prestato alla destra, visto che nel suo pedigree c’è anche l’opposizione a Pinochet, ma oggi è debolissimo – con un consenso nel paese ai minimi, intorno al 20% – e forse non è più in grado di tenere a bada gli umori revanscisti dei partiti che lo appoggiano.

E sui sussidiari a Santiago è scoppiata la tempesta. La senatrice socialista Isabel Allende, la figlia più piccola del presidente morto nel golpe del ’73, ha detto che il cambiamento della definizione è “inaccettabile”. “Vanno contro il senso comune, visto che tutto il mondo sa che in Cile per diciassette anni c’è stata una dittatura feroce. Non c’era un Parlamento, non c’erano libertà civili e politiche, ci furono persecuzioni, omicidi politici, desaparecidos, e moltissime e gravi violazioni dei diritti umani”.

“Questi libri di storia dureranno appena il tempo che durerà Piñera alla Moneda”, ha sentenziato il deputato comunista Hugo Gutierrez. Mentre a destra si applaude giustificando i nuovi sussidiari di storia con il fatto che fino ad oggi è stata privilegiata solo una interpretazione dei fatti, “in tinta rossa”, “da una sola ottica”.

                                                                                                       

Lascia un commento!

Devi essere logged in per lasciare un commento.