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Babbo Natale è in recessione: dirlo o no ai nostri figli?

12.12.2011, di Paola Di Caro (Il Corriere della Sera del 09.12.2011)

Non è un Natale come tutti gli altri. Lo sa bene chi ha perso il lavoro, chi rischia di non averlo più, chi lo cerca e non lo trova. Quello che non è chiaro è se lo sa anche Babbo Natale. E se devono saperlo i bambini, che lo aspettano carico di doni, come era prima, come dovrebbe essere sempre.

Insomma, la domanda è semplice: è giusto lasciare che i nostri figli – indipendentemente dalle difficoltà di ciascuno nel mettere assieme i soldi per i due-tre regali che nelle loro letterine chiedono (i bambini raramente pretendono di più, siamo noi che amiamo eccedere, spesso) -, entrino in contatto con la crisi del mondo dei grandi, e comincino a farci i conti?

Il tema è complesso, perché simbolico. Sappiamo benissimo che i veri risparmi non sono quelli del giorno di Natale, ma quelli che si riesce o non si riesce a fare durante l’anno. Tagliare le spese quotidiane è la sfida, ciascuno sa quanto difficile. Ma la festa che da spirituale e religiosa si è da tempo ormai trasformata nel trionfo del consumismo (si pensi ai regalini, inutili, scambiati tra adulti e rimediati tra mille corse e nervosismi all’ultimo momento) può diventare il momento in cui ci si ferma, ci si guarda attorno, e si fanno delle scelte. Stavolta no, non butto via inutilmente il denaro, stavolta ci penso, verso il futuro che non conosco ci arrivo con un altro spirito.

Già, e i bambini? E’ giusto limitare le loro richieste, spiegare che Babbo Natale quest’anno ha pochi soldi e il gioco della WI, o la maglietta del calciatore preferito, la bicicletta, il vestito da sirena, l’Ipod per ascoltare le  canzoni  non sono cose che lui e le sue renne possono portare a tutti,  e dunque bisogna scegliere, limitare, selezionare, rinunciare un po’?

E’ giusto spiegare che i sogni devono fare i conti con la realtà, che il mondo cambia e potrebbe cambiare anche la generosa attitudine di Babbo Natale ad accontentarci? O facciamo finta di niente, sosteniamo l’ultimo sacrificio, rinunciamo noi a qualcosa e lasciamo che l’omone con la barba continui scintillante a fare il suo mestiere, regalando sogni e cose, crisi o non crisi, perché la vita è dura ma a sei anni è meglio non saperlo, almeno a Natale?

PS Qualche anno fa, in Messico nel giorno de Los Reyes Magos (il 6 gennaio, il Babbo Natale dei paesi di lingua spagnola) assistetti affascinata ad uno spettacolo: un fiume ininterrotto di mamme e papà con bambini per mano che, nel parco della cittadina dove mi trovavo, in fila aspettavano la consegna di un pacco dono per ogni piccolo che allungava le manine a richiederlo, perché nessuno di loro, ma proprio nessuno, rimanesse senza regalo nel giorno dei regali. Anche  in un Paese in crisi in tempi di Grande Crisi. L’amministrazione locale aveva speso molto per acquistare migliaia di giocattoli, probabilmente tagliando altrove le spese, a danno di altre categorie di utenti. Non so se oggi quei piccoli siano diventati cittadini migliori. So però che, quella sera, erano bambini molto felici.

                                                                                                       

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