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1980-2011: in Irpinia è sempre 23 novembre

24.11.2011, IlCiriaco.it (di m.d.p.)

Trentun anni son passati da quel tragico 23 novembre 1980 e siamo ancora qui a parlarne. E non solo perché una tragedia della portata di quel terremoto ha lasciato ferite ancora aperte ma soprattutto perché da allora l’aria stagnante dell’immobilismo politico, economico e dello sviluppo sembra non essersi mai rarefatta.

E l’Irpinia paga ancora le conseguenze di una catastrofe che ha lasciato ferite oramai in cancrena. Strade, scuole, ospedali, aziende… quelli che nel tempo erano apparsi piccoli segni tangibili di una svolta oggi appaiono ridicoli rispetto ad un Paese che continua a correre dimenticando questa fetta di terra che, ahimè, ha mostrato di meritare attenzione solo quando per 90 interminabili secondi la terra trema radendo al suolo case, strade, ricordi e quel pizzico di progresso tanto a fatica vanamente conquistato.

Oggi, da 31 anni a questa parte, si continua a celebrare nient’altro che il dramma di un’Irpinia che viene ancora compatita per quelle vite che ha perduto, che attraverso gli innumerevoli monumenti ai caduti ci riporta non agli attimi di tragedia ma all’immane ed inutile (dati i risultati!) sforzo di andare avanti e sfidare un Paese sordo ai segnali di aiuto che la provincia di Avellino continuamente lancia.

Deponiamo corone di fiori e dismettiamo aziende, raccogliamo rifiuti altrui, chiudiamo ospedali – che di vite umane tante ancora potrebbero salvarne – mandiamo i giovani ‘fuori’, a ‘cercar fortuna’ con la differenza di una valigia che 31 anni fa era di cartone.

Nel post sisma la ricostruzione venne incentrata sul rilancio industriale e la pioggia di contributi costituì una tentazione invincibile per parecchi. Il meccanismo di captazione dei fondi pubblici prevedeva la costituzione di imprese che fallivano non appena venivano intascati i contributi. I finanziamenti arrivarono talmente concentrati da non riuscire ad essere spesi.

In sette anni, 26 banche cooperative, 9 nella sola provincia di Avellino, aprirono gli sportelli nella zona terremotata, arrivando a fare prestiti alle imprese del Nord Italia. Per rilanciare 20 zone industriali tra Campania e Basilicata vennero stanziati 7.762 miliardi di lire (circa 8 miliardi di € del 2010). Il costo finale fu 12 volte superiore al previsto in provincia di Avellino e secondo la relazione finale della Corte dei Conti, i costi per le infrastrutture crebbero fino a punte «di circa 27 volte rispetto a quelli previsti nelle convenzioni originarie». Il 48,5% delle concessioni industriali (146 casi) venne revocato.

Leggendo numeri e dati viene allora da chiedersi: cosa è cambiato? La catastrofe di quella domenica si trascina fino ad oggi. Senza scatti d’orgoglio ma con un vittimismo quasi raccapricciante, si prova a sopravvivere piuttosto che a riscattarsi. E l’unica differenza è che la tragedia di ieri esiste ancora ma la si chiama con nomi diversi: sottosviluppo, disoccupazione, clientelismo, speculazione, sfruttamento e depauperamento del territorio. O anche – ancora – questione meridionale.

Ed ecco l’avvilente quadro prospettico del popolo irpino nel 2011, assuefatto ad una cultura politica troppo avvezza a curare solo i propri interessi ed inadeguata a fronteggiare la drammaticità della situazione. Perché, a dirla tutta, nel 2011 non ci sono più case rase al suolo ma per il resto nulla è cambiato.

E forse, da parte di tutti, sarebbe più consono evitare celebrazioni e dedicare, ai nostri conterranei scomparsi e al ricordo della tragedia che fu, solo un corretto e dignitoso silenzio.

                                                                                                       

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