Steve Jobs, come e perché ha cambiato le nostre vite
26.08.2011, La Stampa (di VITTORIO SABADIN)
La sua filosofia: “Siate affamati, siate folli”.
Bisogna rileggere il discorso che fece nel giugno 2005 all’Università di Stanford per capire perché Steve Jobs sia uno degli uomini più importanti di questo secolo.
Non è solo per quello che ha inventato, gli apparecchi come l’iPhone, l’iPod e l’iPad che hanno cambiato il nostro modo di comunicare, di informarci, di ascoltare musica, di vedere un film. È anche per quel tipo di approccio alla vita che le grandi menti fanno proprio e che lui stesso spiegò molto bene, nel giorno della loro laurea, agli studenti di Palo Alto. «Siate affamati, siate folli disse ai ragazzi -. Credete sempre in qualcosa e alla fine guardandovi indietro scoprirete che la vita è fatta di puntini che si sono uniti. Dovete sempre avere fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire».
L’uomo che ha cambiato le nostre vite spiegò proprio in quel discorso come il percorso dei suoi puntini sembrasse figlio del caos e sicuramente destinato alla rovina, se la fiducia non avesse rimesso le cose a posto. Steve Jobs è nato il 24 febbraio del 1955 a San Francisco, figlio di una studentessa di college non sposata. Di lei non sappiamo nulla, ma aveva sicuramente carattere. Non solo decise di far nascere il bambino, ma chiese di lasciarlo in adozione solo ad una coppia di laureati, gente che capisse l’importanza dell’istruzione e lo mandasse all’università.
La prima coppia in lista d’attesa, un avvocato e la moglie, rifiutò il bambino perché volevano una femmina. La seconda fu chiamata nel mezzo della notte e il signor e la signora Jobs si portarono a casa il piccolo. Quando la madre naturale scoprì che nessuno dei due era laureato rifiutò di firmare le ultime carte e venne convinta solo quando i genitori adottivi si impegnarono formalmente a mandare il ragazzo al college. «Diciassette anni dopo raccontò Jobs – andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college avrebbe potuto aiutarmi a capirlo».
Quando decise di abbandonare gli studi, Jobs non immaginava quale disegno i suoi puntini stavano elaborando. Dormiva per terra nelle camere degli amici e l’unico vero pasto della settimana era quello che gli veniva offerto la domenica sera nel tempio degli Hare Krishna, che raggiungeva camminando per dieci chilometri. Fu la calligrafia a riportare le linee della sua vita sulla strada giusta. Jobs ne era affascinato, perché i caratteri tipografici erano artistici e belli, avevano una storia. Seguì un corso nel quale imparò a distinguere i «serif» dai «san serif», ad apprezzare l’armonia degli spazi tra le lettere, le parole e le righe, «tutto quello che rende grande una stampa tipografica del testo». Guardandosi avanti, non capiva a che cosa questa conoscenza gli sarebbe servita. Guardandosi indietro in quel giorno a Stanford, vide i puntini disegnare una meravigliosa serie di coincidenze trasformate in opportunità: «Dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E’ stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi lasciato il college, il Mac non avrebbe mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E forse oggi non ci sarebbe nessun computer con quelle possibilità».
Guardare sempre avanti, non arrendersi mai, avere pazienza e fidarsi del proprio intuito sono sempre state le caratteristiche di Jobs, quelle che lo hanno fatto grande. La serie di computer Apple II della fine degli Anni 70 è ormai nei musei di tecnologia, così come il Macintosh, il primo apparecchio con il mouse. E sono già nei libri di storia della Silicon Valley i contrasti con i co-fondatori di Apple, che lo estromettono dalla compagnia nel 1984 lasciandolo, a 30 anni, di nuovo senza un lavoro, ma subito pronto a ricominciare fondando NeXT, l’azienda che verrà fusa con Apple dodici anni dopo, rimettendo a posto i puntini e collocando Jobs nel ruolo di amministratore delegato che ha ricoperto fino a ieri.
I suoi detrattori dicono che a ben guardare non ha scoperto molto di nuovo, ma ha utilizzato tecnologie esistenti per metterle sul mercato con un design innovativo ed elegante. In parte è vero. Ma il successo di Apple è soltanto suo: in nessuna azienda il potere è stato così accentrato su di un solo uomo, l’unico che si è dimostrato capace di sapere di che cosa ha bisogno la gente prima che la gente anche solo immagini di averne bisogno. Ora che i suoi puntini hanno cambiato di nuovo direzione, c’è una nuova sfida all’orizzonte, la più difficile.