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La “poesia” nei racconti di Luciano Arciuolo

28.07.2011, Articolo di Pasquale Sturchio

“Nei libri è la storia dell’uomo e il suo futuro. / Appesi a fragili pagine il destino. / Fa e disfa  le avventure la parola. / Racconterà  la parola  il trionfo  o la sua fine.”

“Nei libri” è il titolo di una raccolta di poesie scritte da Luciano ed Agostino Arciuolo (padre e figlio) per esprimere la comune volontà di ridare centralità alla parola in un’epoca di iper-comunicazione che sembra averne dimenticato l’importanza. (Gli adolescenti ed i giovani… sanno tutto ma non capiscono niente!!). La parola (la cultura) come fonte di crescita e come speranza per il futuro.

La parola è forma e sostanza nello stesso tempo, è l’abito del pensiero e contemporaneamente la sua essenza, è l’arte delicata e sublime dell’educazione.

Nell’immaginario “popolare” la poesia è una particolare forma di scrittura (versi, rime, terzine, assonanze, endecasillabi…) a differenza della prosa che non presenta “forzatamente”quelle caratteristiche peculiari, per quanto concerne la forma, della poesia. Ma … la vera poesia, la forma più alta della comunicazione scaturisce dalla parola (In principio era il verbo…) cioè la forza misteriosa che riesce a penetrarti, a farti vibrare, a scuoterti, ad emozionarti, a farti singhiozzare e , perché no, a farti piangere!!

“La poesia: dinamica cristallizzazione di un frammento di spirito che nel tutto è niente e nel contempo è tutto relativamente all’istante che lo trasferisce verso l’esterno. Un’armonia che ti rapisce il pensiero (scrive Antonio Cella) e ti conduce per mano verso sentieri irraggiungibili, che filtra un atteggiamento o una intuizione immediatamente espressi come una fotografia coglie una posa e che subito dopo sarebbe del tutto diversa…”.

Nel primo dei dieci racconti “Dieci volte 90” Delta 3 Edizioni, protagonista è… il mondo della scuola, il difficile e sempre più problematico rapporto tra docente e discenti.

“L’entusiasmo dei primi anni d’insegnamento e, piano piano, la rassegnazione ad un andazzo alienante in cui è sempre più difficile riuscire a mettere qualcosa di proprio… che tristezza, che voglia di scappare o peggio ancora di restare e vomitare tutta la propria insofferenza…”

I giovani oggi conoscono e sanno coniugare il verbo avere! “Mai come nella nostra epoca l’essere umano sembra aver perso la bussola – scrive nella presentazione Michele Miscia – l’orientamento  verso mete degne di essere raggiunte… pertanto i nuovi profeti sociali sono i campioni dell’effimero, sacerdoti di un’ opulenza  materiale che non è più il mezzo ma il fine dell’esistenza, sciamani  del culto della ricchezza, ostentata senza pudore alcuno e spesso sbattuta violentemente sul viso di una povertà talmente diffusa da essere diventata invisibile”.

Viviamo in un tempo in cui ciò che si possiede sembra essere addivenuto ad importanza eccezionale rispetto a ciò che si è davvero nell’ambito di una temperie culturale che privilegia l’apparenza rispetto alla sostanza.

“In un mondo che conosce e coniuga solo il verbo avere, che ha mitizzato e divinizzato quel verbo, come si può pretendere – grida Luciano  Arciuolo – che i discenti facciano qualcosa di diverso? (“Urlai furioso di aver a che fare con una massa di asini rimbecilliti, ignoranti e per giunta ignari della propria ignoranza”).

Il racconto si chiude con l’incontro – “conoscenza”… tra il professore e una studentessa… “Restò un momento sulla porta: era bellissima in quella nudità marmorea, coi seni pungenti che le decoravano il corpo, le gambe lunghe e tornite che si congiungevano in un triangolo nero stupendo… C’ero cascato di nuovo… Le campane che chiamavano la gente alla festa ci trovarono li, l’uno perso nel tepore del corpo dell’altro… tu sei giovane, Laura. Oggi ti sembra di aver toccato il cielo… ma non capisci che questo rapporto, contrariamente a quello che credi ora, ti sottrae alla tua vita… che la sera di Natale devi andare con gli amici a fare baldoria e non rinchiuderti nella tana di un lupo che ha scelto la solitudine per farsi compagnia tu devi vivere, Laura. Devi vivere la tua vita anche quando ti sembra invivibile, devi affrontarla.

Se vuoi io posso aiutarti, quando sei in difficoltà. Posso farmi prendere a schiaffi quando avrai bisogno di sfogare la tua rabbia… ma alla luce del sole e da amico, non nel chiuso di questa stanza e da amante.

Io non sono, non voglio essere, non sarò il tuo rifugio. Ti tratterei come un uccellino in gabbia, sicuro di essere nutrito e difeso ma ignaro della ricchezza della libertà, incapace di affrontare la vita, di procurarsi da vivere…”  Auguri Laura!

Il passerotto è volato via!

                                                                                                       

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