Una giornata di primavera tra i Monti Picentini
Sensazioni ed emozioni a margine del reportage fotografico“Pensieri sparsi nell’ordine degli istanti”di Angelo Mattia Rocco
“L’incoscienza consapevole d’un Sabato d’Aprile, confusa allo sguardo sicuro di una lontananza dal placido sole che appena leggero faceva rifiorire il pensiero. Una nube di passato, un vento di ritorno, qualche goccia al retrogusto di amicizie ritrovate. Il tiepido e flebile ingresso dei monti, luogo di confine, spazio di saggia felicità che lascia al battito nuovo della scoperta , li dove qualsivoglia notizia può sembrare scontata, ovvia. Ovvietà dispersa nei tratturi evidenti e scolpiti come solchi naturali nel ventre del verde, un ventre germogliante , fresco, accarezzato solamente da un leggerissimo pianto grigio. Sul colle, sprezzante e indifesa all’istante, la potenza e la fierezza di fiere da fattoria, pronte col loro istinto a salvar figlioli dalle grinfie del moderno. Lascia senza indugiar secondo tutto ciò che esce e scappa dal lontano giorno. Attimi d’improvviso che spargono vita nel movimento rapido del passaggio, finché dinanzi si apre al cielo l’impercettibile e insaziabile desiderio di riassaporare l’immagine di fronte. Un Re nascosto da una corona bianca vaporosa , sperato alla vista dal pensiero e non dalla realtà del momento. Scompare allora dietro valloni e piccole pezze dissestate, mentre sinuosamente si giunge al dunque del primo varco, lontano dal valico della differenza e cosi agognato tra una fronda e l’altra verso il dolce salire.La pioggia affiora tra i castagni inermi,le foglie lavano via l’inverno, la terra arrossisce e si prepara al fertile sottobosco picentino. Su un lato impervia e diroccata la salita alla Regina, sfregiata, insultata, lacerata nel cuor suo da follie d’umano. Resterà li, a guardia del giorno in cui Lei riprenderà possesso del suo manto. Dal manto giunto fin sui piedi della valle, il varco, e li la strada coperta dal giorno prima del suo grigiore. Pascoli incorniciano l’andare, addobbati anche dal bianco di alberi dai fiori ormai disposti a macchia. La pianta a festa segna ormai l’ora del secondo varco e indica, li sul rivolo delle bocche , al terzo. Persi nell’assurdo inverno di primavera, dove gli occhi affaticano il lor dovere, vi è la mente , sovrana guida che dal cuore comandi e ordini asseconda. Ne un titubare, neuna paura fin dove lo spazio riprendeva luogo e il riflesso d’un tiepido raggio lambiva lo specchio infervorato alla stregua di un mare in tempesta. Sarebbe di li ad un giro, ripiombato tutto nelle brame dell’anima del bosco dove le spoglie tetre dei faggi giacevano ferme, attendendo forse il risveglio ancor distante. Si che le acque indicanti passatissime stagioni si fusero nel colore del dominio e vi prendemmo con rispetto verso valli immaginate al medesimo ritratto. Fu madre Natura o sicuro la grandezza dell’Essenza che alla fascia mediana ci prestò regalo d’un quadro, immerso nella luce di contorni incastonati nelle caduche goccioline del corso del fiume. Santuario d’imponenza guardiano dell’uggiosa sera , sguardo d’irpinia tra compaesani dirimpettai , campanile candido a spezzar il triste giorno. L’ultima impressione tra il battito veloce della vista e la fermezza di un ricordo.”