Tra la Generazione X e i Millennials: …
17.12.2017, Articolo di Martin Di Lucia (da “Fuori dalla Rete” – Novembre 2017, Anno XI, n.5)
… c’è un termine per le persone nate nei primi anni ’80.
Sono nato nel 1984. Alcuni dicono che appartengo alla Generazione X, i nati tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli ‘80, condannati ad imperitura leggenda di fannulloneria, apatici, precari nel lavoro e nella vita, senza obiettivi, o identità sociale (da cui la X, appunto); ma sono anche quelli a cui si deve lo sviluppo del web (giganti come Google e Yahoo li hanno creati loro).
Altri insistono che faccio parte dei Millennials, i nativi digitali, o “Generazione Y”. I primi a non aver bisogno di un adulto per reperire informazioni (anzi, sono loro a «istruire» genitori e insegnanti). Stirpe impaziente e distratta, con record di disturbi da deficit d’attenzione e iperattività. Gli «Io… Io… Io», che si radunano in gruppi per poi starsene ciascuno con la testa immersa nel proprio smartphone, a chattare con persone che non sono li presenti.
Una qualsiasi forma di classificazione risulta frustrante per chiunque sia nato in quella finestra tra il 1977 e il 1987 e che riconoscerà sicuramente questo problema.
Questi dieci anni non sono certo sufficienti per qualificarsi come generazione a se stante, ma molti nati in quel periodo non riescono a sentire una completa “appartenenza” ad un’epoca precisa, schiacciati tra queste due generazioni ormai “leggendarie”.
Una vita “in mezzo”
Gli anni della nostra nascita si trovano, come già detto, tra due generazioni enormi. Abbiamo dovuto colmare il divario tra un’infanzia analogica e l’età adulta digitale e, questa cosa, oltre a venirci ricordata di continuo, ci perseguita. Viviamo con un piede nella Generazione X e uno nella Generazione Y, dei Millennials appunto. E’ una posizione davvero scomoda con cui stare al passo.
Qualcuno sembra però aver trovato una soluzione che porterebbe a definirci una microgenerazione.
Non siamo Gen-Xers. Non siamo Millennials. Siamo nel mezzo: siamo Xennials.
Nessuno sa per certo chi abbia coniato questo termine.
Ma chiunque lo abbia fatto, potrebbe aver fatto centro.
Come i Gen-Xers, da bambini abbiamo giocato all’aperto, scorrazzato in branco sulle bici, vissuto avventure per strada e costruito case sugli alberi con tavole e chiodi rubati dagli avanzi dei cantieri. Abbiamo giocato ai Power Rangers e siamo stati i primi ad usare console di videogames domestiche. Abbiamo fatto i braccialetti di macramé per i nostri amici e abbiamo scritto miriadi di cartoline dai luoghi di vacanza.
Non abbiamo potuto coordinare gli appuntamenti con gli amici su gruppi Whatsapp. Dovevamo chiamare a casa con il telefono fisso, presentarci ai loro genitori e chiedergli di passarci il nostro amico.
Siamo stati colpevoli delle prime cifre astronomiche sulle bollette telefoniche, per non parlare dei concerti striduli in piena notte dei modem 56k.
Poi sono arrivati loro: i primi cellulari sul finire degli anni ‘90. Finalmente potevamo contattare i nostri amici senza prima dover bypassare i loro genitori. Abbiamo avviato il culto degli sms a 200 lire e degli squilli.
Uno squillo non era roba da poco; tutta la nostra giornata da adolescenti girava intorno allo squillo. Era l’unico modo per veicolare le nostre emozioni e sentimenti. Non esistevano i pacchetti all inclusive da un milione di minuti e messaggi. Lo squillo era gratis e così ci siamo inventati questa sorta di codice morse dello squillo; uno squillo beccato poteva segnare la fine del credito di un sedicenne Italiano degli anni ‘90.
Ci si faceva squilli all’infinito e si portavano avanti incredibili conversazioni che nessuno, tranne l’adolescente medio, era capace di decifrare.
I nostri primi computer avevano l’avvio di Windows dai floppy-disk. I primi videogiochi domestici funzionavano con le cartucce e i primi indirizzi e-mail terminano con @hotmail.com.
Sebbene oggi utilizziamo i social media come fossimo nati per farlo, possiamo ancora ricordare una vita senza di essi. La nostra prima infanzia è archeologicamente impressionata su nastri VHS tenuti in vetrine reliquiarie.
Siamo cresciuti senza lo stress di essere costantemente fotografati, filmati o geolocalizzati. Le immagini della nostra infanzia non sono mai state pubblicate su Facebook. E le uniche foto che facevamo erano ai monumenti in gita.
Ma mentre crescevamo la tecnologia maturava con noi. Abbiamo avuto il tempo, senza rendercene conto, di abituarcene e siamo ancora abbastanza giovani per sentirci a nostro agio con quel futuro che guardavamo lentamente ma inesorabilmente venirci incontro; ricordo ancora un servizio al TG in cui in Giappone veniva presentato un CD capace di contenere film (i DVD).
La nostra infanzia è stata pacifica. La guerra fredda, che aveva terrorizzato la Generazione X, era già quasi finita quando noi siamo nati. Non ci riguardava. Abbiamo sentito parlare della guerra in Iraq (la prima) e del conflitto nei Balcani, ma entrambi sembravano già molto lontani.
Non era nulla rispetto alla guerra in Afghanistan, Iraq, Syria, cui i giovani Millennials sono oggi bombardati e, per forza di cose, assuefatti. I nostri conflitti più importanti erano tra chi indossava le Bullboys e chi le Diadora o tra chi ascoltava i Nirvana o la Dance.
Ne consegue che il luogo dello ‘Xennial’ dovrebbe trovarsi da qualche parte tra il Millennial e i membri della Generazione X.
A metà tra i ragazzi con la camicia a quadri e gli anfibi che ascoltavano Grunge, e i Millennials che si descrivono come ottimisti, tecnologici e forse un po’ troppo sicuri di se.
In altre parole, noi Xennials non siamo né depressi né troppo ottimisti. Abbiamo quel che si chiama un equilibrio ottimale.
Considerato tutto ciò, non è poi così frustrante stare tra le generazioni. Preferisco pensare che siamo riusciti a catturare il momento perfetto per nascere!