Leonardo Di Capua (1617-2017) – Atti del Convegno di Napoli, 1995 IV parte
30.07.2017, A cura di Aniello Russo
Per il quattrocentesimo anniversario della nascita di Leonardo Di Capua (1617-2017)
Antonio Marotta (Presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici)
Il Di Capua non ha avuto la fortuna che meritava, perché la sua fama è stata un poco offuscata dal suo discepolo G. B. Vico. Dalle parole dei relatori questa sera è emerso quanta possanza, quanta solennità ha questa figura. Ancora oggi chi legge la sua opera ne viene affascinato.
Di Capua aveva incominciato da Poeta, e aveva composto centinaia di sonetti, e alcuni drammi. Quando uscì il Parere fu un’esplosione, e non solo a Napoli. La stessa regina Cristina di Svevia, la quale allora dimorava a Roma, città che era al centro della cultura di quel tempo, suggerì al Di Capua di aggiungere ancora altre pubblicazioni a quel volume.
Nello scontro tra vecchio e nuovo Di Capua si schierò subito con gli innovatori, perché aveva una sua personalità, una mente razionale e indagatrice, che non si accontentava di quanto leggeva o sostenevano altri. A Napoli, in quel tempo, le due più grandi personalità erano Di Capua e D’Aulisio, entrambi di Bagnoli: il primo buono e estroso, il secondo duro, aspro e introverso. Tra i due nacque un contrasto di opinioni sulla natura dell’arcobaleno.
Preside Gabriele Reppucci
Con la pubblicazione del mio libro, “Leonardo Di Capua”, ho inteso restituire allo scienziato di Bagnoli il valore che meritava. Il mio è un atto di omaggio a una personalità che costituisce l’anello di congiunzione tra la cultura del tempo di Campanella e la rivoluzione culturale del Vico. E l’ho fatto cercando di ricostruire soprattutto l’ambiente culturale in cui visse e operò il Di Capua, che ebbe il merito di inserire Napoli di nuovo nel circuito culturale europeo.
Moderatore (prof. Gaetano Salvatore)
La fama di una persona non si misura solo dalle opere scritte e dalle azioni compiute durante la vita, ma anche da quello che di lui rimane, e cioè l’influenza del suo pensiero nella storia e nella cultura degli anni successivi. Ora devo riferire un episodio.
Cinque anni fa ricevetti una telefonata da un collega medico che aveva cognome Di Capua. Fissammo un incontro. Questo dottor Di Capua mi rivelò di essere un discendente di Leonardo Di Capua. Aggiunse di aver messo da parte un bel gruzzolo che voleva mettere a disposizione di studenti disposti ad andare a studiare all’estero. Allora pensammo di fondare un’associazione intitolata a L. Di Capua. Qualche mese dopo questo dottore morì. Ma ha lasciato il suo denaro che ha consentito ad alcuni giovani, che oggi sono qui presenti, di poter usufruire del denaro messo a disposizione da questo medico, spinto a tanta generosità dalla grandezza del suo omonimo predecessore.
Geppino Gennaro
Ora, va sollevato un problema: l’accesso alle facoltà di Medicina è condizionato da una prova in quattro materie (fisica, chimica, biologia, matematica). Ma solo per la I facoltà dell’Università di Napoli è stato aggiunto un quinto gruppo di materie, e cioè le scienze umane. E questa scelta cade nello spirito di Leonardo Di Capua.
Ora, è necessario che lo studente, già prima di approdare alla facoltà di Medicina, sia educato al dubbio, che è necessario per la professione medica. E poi noi ci lamentiamo sempre del deterioramento del rapporto medico-paziente; ma se diciamo che non ci importa niente della preparazione umanistica dei nostri allievi, allora noi medici abbiamo un debito, e molto pesante, e una grande responsabilità nei confronti sia dei futuri medici sia dei pazienti.
Moderatore (Prof. Gaetano Salvatore)
Io sono convinto sostenitore che per la pratica della medicina il medico debba avere anche una visione politica, una conoscenza delle scienze umane, come voleva il Di Capua. E quando diciamo medicina, sarebbe più esatto parlare di scienza medica; e non c’è dubbio che questa debba essere fondata sulla ricerca scientifica. Ma altra cosa è l’esercizio della medicina, che non fu solo fondata esclusivamente su fatti tecnologici e scientifici; il rapporto medico-malato è preponderante.
C’è medicina naturalistica e c’è medicina umana, diceva il prof. Coltorti, laddove la prima è a carattere scientifico, e precede il rapporto col paziente, mentre la seconda deve essere umana, poiché privilegia il rapporto con la persona. Il dualismo tra arte e scienza, in realtà, non esiste; e l’esercizio della medicina non può essere altro che un’arte, a cui è affidata la capacità umana del medico.
Prof. Borlotti
Nei libri di medicina tutto è chiaro, tutto è limpido, tutto segue un certo filo logico; ma se io incontro un povero contadino malato, non vi trovo in lui le cose che stanno scritte sui libri. Se io, poi, dico: “Questo paziente ha un’epatite cronica”, ma voi credete che io trovi le stesse cose scritte sui libri, le stesse cose che un grandissimo scienziato ha scritto? No!
Qual è allora il compito del medico? Che cosa è la diagnosi? Quali gli strumenti con i quali arrivare alla prescrizione della cura? Allora, io cerco di applicare un certo tipo di discorso che mi consenta il restringimento dei limiti delle mie incertezze, che è un termine che mi fa essere un poco più onesto con me stesso.
Io medico, ho dato poche certezze ai pazienti, e sono contento di averne date poche, perché nell’ambito dell’incertezza, queste poche certezze ho cercato di darle in termini umani, rendendomi conto della persona che mi trovavo di fronte.
Fine