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Leonardo Di Capua (1617-2017) – Atti del Convegno di Napoli, 1995 II parte

16.07.2017, A cura di Aniello Russo

Per il quattrocentesimo anniversario della nascita di Leonardo Di Capua (1617-2017)

Leonardo_di_CapuaDi Capua, oltre a essere stato uno scienziato e un medico d’avanguardia, fu pure un poeta e un letterato, che per scrivere le sue opere adoperò la lingua fiorentina del Trecento. A questo orientamento egli diede un’impronta personale, sicché tale linea linguistica fu denominata “capuismo”. E’ da sottolineare pure la grande cura che l’autore ebbe nella stesura linguistica dei suoi lavori. Uno di questi, il “Parere”, ebbe tanto successo che fu stampato tre volte, lui vivente: nel 1681, nel 1689, nel 1695; nel corso di questi quattordici anni egli intervenne nella lingua del suo testo con frequenti correzioni. Su invito del moderatore, prende la parola il prof. Nicola De Blasi, titolare della cattedra di Storia della Lingua Italiana nell’Università di Napoli:

 ***

“La lingua usata dal Di Capua ai suoi tempi è di carattere scientifico. Ma proprio la sua lingua rappresenta un problema; ed è un problema che si inserisce in un quadro di grandi contraddizioni dell’età barocca, poiché il Di Capua era un petrarchista, in opposizione al barocco. Ma nonostante ciò, egli era vittima e seguace dello stesso stile barocco. E rappresenta, quindi, sia la linea portante della cultura barocca, sia il suo contrario.

Nel suo libro Reppucci sostiene che Di Capua ha dato un contributo alla rinascita della cultura napoletana di fine ‘600, nonostante il suo conservatorismo linguistico. A mio parere, il Di Capua dà un contributo al rinnovamento della cultura napoletana, proprio perché è un conservatore dal punto di vista linguistico. In realtà, il purismo non c’era ancora, perché nasce a metà del ’700. Nel Seicento c’era il capuismo.

Si badi, però, che il capuismo  è una posizione quasi di avanguardia, non di retroguardia. Nel ‘600 il passato era costituito da una scuola in cui si insegnava soltanto il latino, mentre il futuro era lo studio basato sull’insegnamento in lingua italiana. Il Di Capua è tra i primi ad aver capito questa grande avventura verso il futuro, e ad averla perseguita coerentemente.  Il futuro, il rinnovamento, in quel momento, a Napoli era l’apertura verso la lingua italiana, che in effetti non tutti possedevano. Di Capua ha capito, prima degli altri, questo problema.

All’inizio del ‘700 ci si accorge che molti non sanno scrivere in italiano. E anche da questo lato la nostra epoca assomiglia a quella, per la stessa sensazione che abbiamo noi oggi riguardo al cattivo uso dell’italiano.

Di Capua si è accorto di questo almeno una sessantina di anni prima. Ecco, allora, il grande contributo che il Bagnolese ha dato al rinnovamento della cultura napoletana. In questo secolo, nei trattati accademici quale italiano si usava? Un italiano volgare, molto provinciale, pieno di forme dialettali; un italiano, insomma, che non si poteva presentare all’esterno.

E la grandezza del Di Capua è nell’aver capito che per proporsi con credibilità scientifica era necessario usare una lingua che avesse gli stessi requisiti della lingua latina, come la stessa autorevolezza dell’argomento trattato. Questa lingua non poteva essere quella che si adoperava negli uffici, negli affari pubblici, e nelle conversazioni quotidiane; doveva, invece, essere qualcosa di più, bisognava mirare più in alto. Da questo lato, quindi, il petrarchismo del Di Capua non è soltanto un’aspirazione letteraria. Direi, invece, che è proprio una rivoluzione culturale.

Naturalmente le esemplificazioni ci vengono dalla stessa prosa del Di Capua, in cui egli realizza questo rinnovamento linguistico. Ogni lettore si può rendere conto della prosa fiorentina del Di Capua. Ed è la sua una prosa altamente complicata dal punto di vista sintattico, in quanto lo scrittore predilige l’ipotassi, cioè le proposizioni subordinate alle coordinate. Vi sono, inoltre, nella sua prosa numerosi arcaismi; ma non mancano anche parole nuove, e questo dimostra che Di Capua non è chiuso alle novità.

Soprattutto nella sua opera il “Parere” ha avuto modo di esprimere concetti nuovi, dando la prova della ricerca di una soluzione linguistica che fosse all’altezza degli argomenti di scienza. Di Capua, pur essendo figlio del suo tempo, non si mostra insensibile alle innovazioni. Quindi, conservatorismo sì, ma non chiusura verso il nuovo, anzi proiezione verso il nuovo, verso il futuro. In conclusione possiamo senza alcun dubbio affermare che è proprio grazie all’opera di Leonardo Di Capua che avviene la sprovincializzazione della lingua italiana.”

                                                                                                       

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