Disoccupazione e immigrazione
03.04.2017, Articolo di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Aprile 2017, Anno XI, n.2)
Discutiamo del “reale” problema degli immigrati.
Negli scorsi mesi la discussione sui migranti è stato il pretesto per far emergere il disagio sociale di una disoccupazione sempre più insostenibile. Disoccupazione vuol dire non avere la possibilità di realizzare una vita propria e porta a scegliere se partire o restare. Partendo si fa una scommessa col destino e ci si prepara a grandi difficoltà nell’integrarsi, alla nostalgia di casa e a tornare un giorno in un paese che sarà totalmente diverso da come è stato lasciato. Restare significa azzerare le proprie ambizioni e speranze nel futuro, significa aspettare invano il progresso nelle nostre terre e assistere allo sgretolarsi delle relazioni sociali con l’emigrazione di gran parte dei coetanei. Questa scelta si rivela spesso l’anticamera della depressione, basta guardare alla pagina “Irpinia Paranoica” : catalizzatore di gran parte di questo disagio attraverso un nichilismo assoluto su qualsiasi argomento. Siamo dinanzi a un problema di vasta portata e chi scrive ammette di non ritenersi minimamente all’altezza di una trattazione esauriente, ma d’altro canto ritiene necessario evitare di lasciar sfogare il problema attraverso capri espiatori quali immigrazione o luoghi comuni. Iniziamo con questo articolo una discussione nella nostra comunità su quali siano le cause e i possibili rimedi al problema. Qualche tipo acuto dirà che a parlare son tutti bravi, ma iniziare a discuterne è l’unico modo con cui la società civile può esercitare pressione sulla classe politica e spingerla ad agire per assicurarsi consensi. Iniziare a parlare della disoccupazione e del disagio sociale nella nostra terra è preferibile a continuare a tacere e rimuginare in silenzio. E’ naturale prevedere differenti ideologie su questo tema, ma i media uniti ai social network ci permettono di convogliare i nostri problemi in un’unica discussione e d’imporre la questione! Pertanto iniziamo a delineare possibili cause e soluzioni concrete. Sbaglieremo, ma ci avremo provato.
La principale fonte di reddito nella nostra comunità era data dalla castanicoltura. Negli ultimi anni il dibattito sulla questione sembrava scemato, tuttavia a inizio mese altre comunità (Quindici: http://www.irpinianews.it/castanicoltura-lappello-quindici-arriva-bruxelles/ ) sono riuscite ad ottenere l’impegno del commissario europeo all’agricoltura per investimenti in ricerca nella lotta al cinipide. In aggiunta il riconoscimento del castagneto come frutteto, annunciato il due marzo dal delegato all’agricoltura della Regione Campania, apre nuove prospettive al settore. E’ ora possibile chiedere fondi europei per un progetto di recupero di un settore industriale con migliaia di addetti ovviamente bisognerà idearne uno di ampio respiro a livello regionale, evitando d’inviare molteplici e scoordinate istante localiste/personali. Superando i particolarismi e la tentazione di godere subito dei fondi senza investirli nel lungo termine, si può finalmente ambire a un grande piano di rilancio mirato a svecchiare una filiera produttiva ancora ancorata al passato. Applicare nuove tecniche nella coltivazione, l’uso di macchinari e tecnologie, ottimizzazioni basate su criteri economici/manageriali della filiera produttiva, l’ottenimento di riconoscimenti e campagne di marketing tramite la realizzazione di un unico consorzio di produttori: possono rimettere in moto questa economia. Sugli scenari mondiali la Cina con l’intervento diretto dello stato e un’organizzazione industriale ci ha sottratto grandi fette di mercato, dall’altro lato dell’Adriatico i paesi balcanici con una manodopera a basso costo potrebbero (negli anni futuri) rubarci ulteriore spazio. Si spera che queste buone nuove primaverili non muoiano con l’avvento dell’inverno, ricacciando l’argomento nel dimenticatoio. E’ davvero triste osservare come negli anni altre nazioni abbiano acquisito a livello mondiale le nostre posizioni, mentre la nostra terra si umilia e si rassegna facendosi cacciare fuori da un mercato in cui vantava una tradizione secolare! Riprendere oltre limitate ottiche arcaiche/patriarcali significa riportare nuovi capitali nella nostra terra, allievando le difficoltà economiche del momento.
Bagnoli è la terra del tartufo nero, ma la trasformazione dello stesso avviene spesso lontano da qui. Questo settore può essere incentivato dall’autorità pubblica concedendo esenzioni dalle tasse locali o concedendo gratuitamente i terreni a chi voglia installare simili industrie. Ovviamente, servirebbe anche una mediazione con le aziende produttrici per conoscere nel dettaglio quali debbano essere i requisiti tecnici e di costo per affidare le commesse a un’azienda locale.
Questo ci porta a una terza questione scottante per le prospettive occupazionali, ma snobbata dall’opinione pubblica: i lotti dell’area industriale. Apprendiamo dalla stampa provinciale come tra le tre aziende interessate ad installare o ampliare la produzione gli unici a guadagnarci siano stati gli avvocati. In fin dei conti, è semplicemente il sistema Italia a funzionare in questo modo e c’è poco da meravigliarsi. Quindi sarà vitale superare queste difficoltà in futuro, cedere i lotti esistenti e investire i ricavi nell’ampliamento della superficie disponibile. In aggiunta, è interesse delle comunità di Bagnoli e Montella spingere verso il riutilizzo della tratta ferroviaria Avellino-Rocchetta nel trasporto merci e pendolari. Come mai? Il nostro territorio impervio rende difficile i trasporti e, quindi, poco conveniente installare produzioni in un’area con pochi consumatori. La ferrovia (oltre a partire dalla nostra area pip) è l’unico modo rapido e veloce per spedire le merci oltre le montagne. Inoltre, in vista del grande progetto infrastrutturale di Pechino con “le nuove vie della seta”, “Trenitalia” sta investendo decisamente sul settore. Le connessioni sono alla base dell’economia, quale imprenditore verrebbe a spedire le merci sull’Ofantina (spesso intasata dopo Parolise) se può stabilirsi nelle ben collegate aree di Napoli e Salerno? Senza incentivi (le normative europee permettono un aiuto diretto o indiretto dello stato per queste aree depresse, oltre a fornire loro stesse i fondi) e collegamenti nessuno sceglierà Bagnoli.
In passato si è ribadito come il comune non fosse un ufficio di collocamento. Quest’affermazione è giustissima se l’intendiamo come espansione incontrollata della pubblica amministrazione, ma d’altra parte come può la politica non decidere (in tempi di crisi) d’intervenire direttamente nel mercato per supplire all’assenza dei privati? A cosa serve la politica se non risolve i problemi della cittadinanza? Alcuni comuni italiani hanno deciso di fondare cooperative sociali nel settore agricolo e di concedere terreni demaniali per il recupero di produzioni tipiche locali. Questa scelta sicuramente causerà polemiche circa esclusi ed eventuali raccomandazioni, ma a fine giornata aumenterà il numero degli occupati. Lasciamo agli agronomi dibattere su quale possa essere la coltura migliore, ma precisiamo come una cooperativa possa essere fondata anche in ambiti diversi dall’agricoltura.
Sui giornali si parla di un “techno village” da sviluppare intorno al primo stabilimento della nostra area industriale. Ebbene, nel 2017 abbiamo corsi gratuiti legati al settore disponibili online (https://www.udacity.com/ solo come esempio), abbiamo fondi per associazioni o per politiche sociali e abbiamo strutture pubbliche inutilizzate. Perché non usare quei fondi per assumere figure preparate con cui organizzare prima corsi di formazioni per superare il gap linguistico e successivamente per trasmettere queste competenze ai giovani inoccupati. L’iniziativa potrebbe provare ad invogliarli nell’iniziare la propria start-up nel settore, oppure potrebbe indirizzare giovani scolari verso questo ramo di studi. Successivamente, una consulenza per l’accesso ai fondi per le start-up e la disponibilità gratuita dei locali pubblici inutilizzati può incentivare almeno a tentare questa strada. In fin dei conti, il principale problema delle crisi economiche è dato dalla rassegnazione: l’essere umano ha capacità straordinarie, ma se viene meno l’entusiasmo e la fiducia nel domani finisce per afflosciarsi su se stesso. Oggi chi di noi pensa che Bagnoli o il Meridione possano cambiare o migliorare nei prossimi anni? Nessuno, credo. Questo non lavorare e non andare verso un obiettivo futuro già stabilito è la nostra prima sconfitta. Troppo spesso pensiamo al presente guardando al passato, perché è più facile di sognare un futuro.
La sagra di Montella sta diventando un problema per la nostra kermesse: è inutile voler coprire i costanti sforzi compiuti in questi anni dai nostri vicini con il velo del patriottismo del nostro status-quo. Dobbiamo ammettere come le due manifestazioni offrano prodotti simili (non uguali!) allo stesso bacino d’utenza, quindi sono direttamente in concorrenza. Sappiamo come la nostra non sia più una sagra di paese, ma molto di più e molto di più si aspetta di anno in anno il pubblico. Questo richiede metodi di gestione aziendali e innovazione per migliorare ancora. “Occorre espandere nel corso dell’anno i ricavi dell’evento”: ripetiamo questo mantra da tempo, ma in fin dei conti le criticità sono sempre le stesse e i guadagni finali accontentano tutti ponendo fine alle consuete polemiche. La situazione attuale è preferibile da molti, altrimenti bisognerebbe porre fine alle amicizie e passare alla rigida logica di controlli stringenti su tutto ciò che accade nell’evento.
Il ferragosto del Laceno è una grande perdita di profitti per l’intera comunità, la quale si isola dal mondo nella leggendaria “chiana dei vaccari”. Molti paesi organizzano concerti, campeggi, notte dei falò e fuochi d’artificio in località meno affascinanti della piana del lago Laceno. Noi, invece, preferiamo andare a comportarci come una tribù di barbari lì dove dovrebbero stare gli animali e con i nostri schiamazzi li spingiamo verso la località turistica. Non organizzando il ferragosto al Laceno si perdono gli indotti pagati per piantare molte più tende, per tutte le attività commerciali nei dintorni, per le possibili concessioni ad ambulanti e chioschi, per l’uso dei bagni, per l’uso dei parcheggi e per il miglioramento dell’immagine del Laceno nei potenziali clienti. L’assenza di un evento fa perdere in primis afflussi e in secondo luogo non estrae alcuna utilità da coloro che portano tutto da casa. Insomma, il ferragosto al momento porta solo il problema di ripulire le aree occupate dai turisti mordi e fuggi. Ammettiamolo il Laceno in questo modo diviene solo un fardello inutile sulle spalle dei contribuenti.
Negli ultimi anni ci sono state varie iniziative di marketing con il lancio di video o eventi, come mai sono cadute nel dimenticatoio? Non c’è stata una visione di lungo termine alle spalle. Oramai il sito web o la presenza dei privati sui social non basta più, se sulle stesse piattaforme mancano le attrazioni storiche e naturali visitabili. In secondo luogo, l’assenza di cooperazione su un’unica piattaforma ha portato a tantissime pagine sul Laceno. Tuttavia, solo una (neanche fondata dai bagnolesi) ha raggiunto economie di rete tali da monopolizzare il tutto e rendere superflui i grandi sforzi dei competitors. Sul patrimonio artistico di Bagnoli troviamo il buio assoluto. Ciò che è digitale per noi lo era cinque anni fa, ora il mondo corre veloce e dai B&B siamo entrati nell’era di “Airbnb” o del “Couch surfing”. Ovviamente, se non ci sta comunicazione per le attrazioni l’indotto turistico non avrà mai clienti. Lo stesso vale se facessimo seriamente marketing per una località turistica senza fogne, collegamenti con i mezzi pubblici e senza sufficiente copertura di servizi oggi essenziali (telefonia mobile/televisiva/adsl). In secondo luogo la psicologia gioca un ruolo importante nel consumatore e il primo modo per attrarlo è condizionare le sue scelte: promozioni last-minute, coupon, discriminazioni di prezzo e vendite a pacchetto sono la norma altrove (qui materia per pochi pionieri).
Il pensiero comune di combattere lo spopolamento con la resistenza e il ritorno alle tradizioni, (in parole povere: far chiudere questa comunità in se stessa) ingigantisce semplicemente i problemi conducendo a un’opposizione ceca e utopica. Invece, proprio l’apertura al mondo: l’andare via e tornare o lo scambio di culture, possono aiutare a far conoscere/crescere queste terre. Progetti come quello del gemellaggio con una città tedesca del tartufo o gli studi dell’università olandese sul Laceno sono apparse come buone iniziative in tal senso.
In questo articolo sono state esposte posizioni che comporterebbero l’aumento della spesa comunale per allievare il problema della disoccupazione, come reperire questi fondi? Alzare la tassazione? No, vi allego il bilancio comunale e lascio a voi evidenziare punti su cui tagliare (http://italia.indettaglio.it/ita/campania/bagnoliirpino.html#spese). Spero ci mettiate lo stesso entusiasmo nel commentare contro lo “Sprar”. Inoltre, abbiamo anche le dichiarazioni dei redditi del paese: ora se quasi metà cittadinanza dichiara meno di 10000 euro l’anno o siamo davvero agli sgoccioli o qualcuno sta barando a scapito della comunità. A questo punto a cosa serve lamentarsi? Lo status quo sarebbe semplicemente conseguenza del nostro basso senso civico. Un ultimo punto da considerare sarebbe l’analisi economica-comportamentale dell’incentivo ad impegnarsi di un eletto-medio in assenza di compensi e, quindi, in presenza di attività lavorative secondarie a cui dedicare le proprie energie. Si tratta di un fattore cruciale, ma troppo controverso per essere affrontato in questo articolo. Speriamo, almeno, di vedere nel 2018 un patto su obiettivi comuni da raggiungere per la comunità in una data simbolica come il 2030; naturalmente parliamo delle parti che accetteranno la folle sfida di gestire una comunità inneggiante ai forni crematori nel 2017!