1916-2016: Un secolo fa Bagnoli progettava il suo acquedotto
12.11.2016, L’approfondimento di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Ottobre 2016, Anno X, n.4)
Il 1 dicembre 2012 pubblicavamo un documento storico sull’arrivo dell’elettricità a Bagnoli Irpino agli inizi del XX secolo. Dopo alcuni anni ritorniamo sulle medesime tematiche: la memoria storica può aiutarci a conoscere meglio il nostro paese e fornirci interessanti spunti per l’avvenire. In questo numero presentiamo un resoconto sulla relazione del primo acquedotto di Bagnoli, redatta dall’ingegner Eugenio Fisher esattamente un secolo fa. Essendo profani in materia siamo spinti a pensare all’acquedotto come qualcosa di semplice; invece quest’opera nel 1916 presentava una serie di ingegni e servizi da sembrare ancora attuale. Si era già pensato a come arginare le siccità, alla pulizia delle fogne, a un sistema antincendio e finanche al risparmio dell’acqua immessa nella rete. Lo scorso anno sul principio dell’inverno il nostro paese ha vissuto il razionamento dell’acqua, a causa della scarse precipitazioni. Ebbene, questo rischio era già stato evidenziato osservando i flussi delle sorgenti nel 1915 e si era provveduto a risolverlo con la costruzione di serbatoi. Probabilmente bisognerebbe rivedere la rete in base ai flussi e ai consumi odierni, possiamo mai convivere con un problema già risolto nel 1916? I cambiamenti climatici in corso renderanno questi fenomeni sempre più frequenti, pertanto è di vitale importanza essere pronti e investire ancora su un’infrastruttura strategica per qualsivoglia comunità. Il turismo lascia il tempo che trova, dinanzi ai servizi essenziali.
Il territorio comunale presentava, ora come allora, affioramenti di pietre calcaree permeabili alle precipitazioni. I bacini sotterranei danno vita a numerose sorgenti, basti pensare come questa provincia alimentava i due maggiori acquedotti italiani d’inzio XX secolo: quello pugliese e quello di Napoli. Al di sotto dei bacini è ubicato uno strato impermeabile a profondità variabile. La principale sorgente, per portata minima, era quella di “Tornola” sul Laceno. A ridosso dell’abitato erano presenti alcune sorgenti utilizzate per alimentare delle fontane in paese: quelle di “S. Vito”, “Salice” e “S. Rocco”. Altre sorgenti erano presenti all’altezza del paese, ma per la loro posizione non potevano essere utilizzate nell’acquedotto senza sollevamento meccanico.
Con i consigli comunali del 28/12/1914 e del 26/11/1915 si autorizzò Fisher a realizzare uno studio per progettare la raccolta, conduzione e distribuzione della sorgente “Tornola” fino all’abitato di Bagnoli. La sorgente doveva rifornire di acqua potabile un paese che all’epoca contava 3553 abitanti (censimento del 1911) e un consumo molto inferiore a quello odierno (74 litri pro capite al giorno). Essendo la sorgente “Tornola” nell’area delle sorgenti del Sele, utilizzata nell’alimentazione dell’acquedotto Pugliese; Fisher volle esaminare la possibilità di rifornire l’abitato sfruttando le sorgenti “S. Vito”, “S. Rocco” e “Salice”.
Fallito un primo tentativo di rilevazione topografica alla sorgente “Tornola” il 9 gennaio 1915 a causa del maltempo, fu ritentato con successo a partire dal 18 ottobre dello stesso anno. In quei giorni si provvide a studiare anche le tre sorgenti a ridosso dell’abitato.
La”Sorgente S.Vito” sorgeva lungo la mulattiera per S. Angelo dei Lombardi nel fondo di Giuseppe Chieffo (fu Aniello). Veniva raccolta in un pozzetto in muratura e incanalata in un tubo di ghisa (di diametro 8 cm) nel fondo di D’Aulisa Domenico (fu Aniello) fino alla provinciale Calore-Ofanto e a Via Anisio da cui scendeva ad alimentare la fontana nella piazza Leonardo Di Capua. La tubazione, nei pressi della provinciale “Ofanto-Calore”, s’immetteva in un pozzetto interrato con annesso abbeveratoio pubblico. Quest’opera serviva a conservare le acque in tempi di secca. La portata della sorgente era di 1,55 litri, ma si ritenne che i moti franosi a valle erano dati da perdite nel tubo. Per questa ragione il municipio intervenne per risolvere il problema e drenare i terreni sottostanti.
La “Sorgente Salice” sgorgava da una roccia calcarea a 670 mt. S.l.m. a sinistra dell’omonima strada. Raccolta in un pozzetto, scorreva in una condotta in muratura verso “Corso Garibaldi” per alimentare la fontana del Gavitone. Anch’essa aveva dei pozzetti per la conservazione delle acque nella proprietà di Maria Immacolata Patrone (fu Domenico). La condotta dopo questi pozzetti diveniva in ghisa, con un diametro di 12cm, e attraversava le case dell’abitato. La sorgente nasceva nella proprietà di Vivolo Angelo (fu Antonio) e di Gatta Michele (fu Aniello). Non potendo misurare la portata presso il pozzetto in località “Salice”, le rilevazioni presso i bocchettoni al”Gavitone” rivelarono una portata di 2,7 litri per minuto secondo. Gli abitanti negarono la presenza di possibili perdite nelle tubature e affermarono come le stagioni non andassero ad influire sulla portata della fontana. In aggiunta, lamentarono cali di portata nella stagione estiva solamente dalla sorgente di “S. Vito”.
La “Sorgente di San Rocco” sorgeva a cento metri dalla precedente nel fondo di Rosa Gatta (fu Leonardo) a 680 mt. S.l.m. Era raccolta in un pozzetto inaccessibile e incanalata in una tubatura d’argilla dal diametro interno di 5 cm. Scorrendo in vari fondi rustici andava ad alimentare la fontanella dinanzi alla chiesa di S. Rocco. La portata di questa sorgente risultò essere di soli 0.2 litri. Le scaturiggini della sorgente erano nel fondo a monte di Barbone Michele (fu Vincenzo).
Le tre sorgenti mancavano di opere di allacciamento e di protezione. La portata totale era di 4.46 metri al minuto secondo. Varie osservazioni dimostrarono come la portata delle tre sorgenti decresceva lentamente, inoltre il minimo si registrava solamente sul finire dell’autunno in casi di eccezionale siccità autunnale al principio dell’inverno. Essendo state le precipitazioni del 1915 abbondanti, Fisher volle assumere come portata minima i due terzi di quella accertata. In caso di siccità le sorgenti avrebbero fornito all’abitato 259.200 metri cubi d’acqua al giorno. Basandosi sulla portata minima si sarebbero potute impiantare dieci fontanelle pubbliche a getto continuo da un quinto di litro, ovvero simili a quella in località S. Rocco; accordare 300 concessioni da 250 litri per giorno ai privati e tenere i restanti 11400 litri per i lavatoi pubblici, per il macello e per qualsiasi altro servizio pubblico. In caso di maggiori concessioni ai privati o incrementi nei pubblici consumi si poteva trasformare il getto delle fontanelle in intermittente raddoppiando il volume d’acqua a disposizione. La potabilità delle acque in questione era già stata accertata da analisi svolte precedentemente. Essendo compatibili per portata, qualità e vicinanza al centro abitato queste tre sorgenti diedero la possibilità di realizzare un acquedotto a un costo minore. Infine, si suggerirono futuri lavori per lo sfruttamento della forza motrice generata da queste sorgenti.
Il progetto si divise in quattro fasi:
- a) Allacciamento e protezione delle sorgenti;
- b) Serbatoio;
- c) Rete di distribuzione, fontanelle e bocche antincendio stradali;
- d) Lavatoi pubblici;
Per quanto riguarda l’allacciamento non ve n’era alcuno e si sospettava come questo potesse essere all’origine della dispersione delle acque. Era necessario effettuare dei saggi per affermare ciò, ma essendo i fondi attigui di proprietà privata non fu possibile procedere. Pertanto si rimando la progettazione delle stesse all’inizio dei lavori per valutare l’evolversi della situazione durante gli scavi. Sarebbero stati costruiti dei collettori in muratura con la parete a monte permeabile e un riempimento a ridosso col muretto a secco onde facilitare il passaggio delle sorgive nei canali. Al di sotto dei canali si richiedeva uno strato d’argilla e si prevedeva una copertura con terra locale per nascondere l’opera nella campagna. Per la “sorgente di San Vito” si prevedevano venti metri di collettori per raccogliere nel pozzetto tutte le scaturaggini. Le “Sorgenti di San Rocco” e “Salice” risultavano originate dalla stessa falda freatica con affioramenti dello stesso stato impermeabile in superficie. Quindi con oltre cento metri di collettori si potevano incanalare le scaturaggini delle due sorgenti in un solo pozzetto in località “Salice”. In località “San Vito” si richiese anche un secondo pozzetto di dimensioni maggiori, per utilizzarlo come pozzetto di carico della rete dell’alto servizio tramite appositi apparecchi. Per quanto riguarda gli altri due pozzetti, si provvide a un semplice restauro. D’altro canto quelle acque sarebbero già passate per un serbatoio dotato di strumenti di manovra. Le opere di protezione sarebbero partite dai collettori e sarebbero risalite a monte per una larghezza di dieci/venti metri, portando all’espropriazione di un’area di 1500 metri quadrati. Queste zone dovevano essere preservate tramite barriere dall’agricoltura e dal pascolo per permettere la raccolta delle acque superficiali.
Il serbatoio doveva garantire la disponibilità d’acqua nelle ore di maggior consumo, ricaricandosi in quelli di minore. Allo stesso tempo doveva assicurare acqua al paese in caso di lavori alle sorgenti. Fu progettato sulla destra di “via Salice” presso il pozzetto di questa sorgente. Si componeva di due vasche gemelle (di 10 metri per 5, con un’altezza massima delle acque pari a 8 metri) e della camera di manovra. Per un totale di 150 metri cubi a vasca, in caso d’emergenza il comune di Bagnoli I. poteva assicurare ai suoi abitanti 21 litri pro capite per quattro giorni. La camera di manovra conteneva i tubi dal pozzetto alle vasche e alla rete urbana, i tubi dalle vasche alla rete urbana, gli scarichi e le paratoie con le saracinesche necessarie alle manovre. I serbatoi dovevano sorgere su una base di calcestruzzo su pietrisco (spessore di almeno 0.6 metri) a quota 674 mt. S.l.m., per un piano di carico (se pieni) a 678 mt s.l.m. . Le murature dovevano essere tirate su con pietra calcarea e malta idraulica culminando con una volta a botte, solamente nella camera di manovra la volta doveva essere realizzata in mattoni per non far percepire lo sbalzo climatico esterno alle acque. L’intera opera doveva essere coperta da un metro di terra, per disperdere le precipitazioni. Fino all’altezza di 3.10 mt. le pareti delle vasche dovevano possedere un doppio intonaco in cemento. La camera di manovra doveva avere un accesso con annesse scale per raggiungere le vasche e gli strumenti presenti. La zona intorno alla struttura doveva essere ricoperta di calce per una superficie di 402.250 metri quadrati, onde evitare che le colture potessero danneggiare l’opera. Le acque di scarico erano indirizzate alla fontana del “Gavitone” o potevano essere utilizzate nei fondi contigui.
Essendo la “sorgente di San Vito” a notevole distanza da quella in “via Salice” si decise di organizzare due reti di distribuzione: quella alta a “S. Vito” da 685 mt. s.l.m e quella bassa dai serbatoi in “via Salice” a 678 mt. s.l.m..
La rete alta scendeva lungo la strada per S. Angelo dei Lombardi, proseguiva per la provinciale Calore-Ofanto, raggiungeva la piazza, correva lungo la via Rogata e si arrestava sulla via per Acerno all’altezza di via Salice. Questa rete prevedeva tre diramazioni: una per il lavatoio pubblico all’incrocio tra la strada per S. Angelo e la “Ofanto-Calore”, la seconda per “via Pallante” e “piazza San Domenico”, la terza per “via D’Aulisio”. Questa rete era allacciata alla seconda per smaltire l’acqua rimanente nelle ore di consumo minimo, una saracinesca permetteva di separare le due reti. Il tutto sarebbe stato lungo 627.2 mt., con diametro decrescente man mano che ci si avvicinava alla fine della stessa (0.08 mt nei primi 298 mt., 0.06 mt. per i seguenti 83 mt. e 0.05 mt. per la parte restante). La prima diramazione prevedeva 50 metri per un diametro di 0.02 mt., la seconda 139 metri per un diametro di 0.04 mt. e la terza 110 metri per un diametro di 0.04 mt.
La rete bassa scendeva da “via Salice”, s’immetteva in “via Bonelli”, proseguiva lungo “via Ospedale”, “Corso Garibaldi”, “via Municipio”, arrivata in “Piazza Leonardo Di Capua”, attraversava “via Tripolitana” e terminava in “via Ronca”. Presentava le seguenti diramazioni: in “via Bonelli” per 172.5 mt. e 0.04 di diametro, in “via Ospedale” per 192.5 mt. e 0.04/0.03 mt. di diametro, in “via Chiesa” per 95.5 mt e 0.04 mt di diametro, per “via Amedeo” per 65 mt. e 0.03 mt. di diametro, in “via Gargano” per 133.5 mt. e 0.03 mt. di diametro. Il troncone principale della condotta si snodava per 743 mt. partendo da un diametro di 0.120mt., abbassato poi a 0.08 mt., a 0.06 mt. e a 0.04 mt. nel tratto finale. L’intera rete doveva essere realizzata con tubi di ghisa incastrati internamente ed esternamente, provati a pressione effettiva di dieci atmosfere. La pressione massima nelle rete sarebbe stata di quattro atmosfere e la minima di una. Dovevano essere previsti anche ulteriori sfiatatoi, saracinesche e sfiatatoi automatici. Solamente nelle diramazioni non erano previste saracinesche nel mezzo delle tubature. Il tutto era progettato per un paese le cui abitazioni nel 1915 non superavano i dieci metri. Con dieci fontanelle a getto continuo da un quinto di litro e due lavatoi di pari portata, l’opera doveva fornire per dodici ore la portata continua di 2.4 litri. I quattro quinti del volume sarebbe finito nei lavatoi pubblici; inoltre per sostenere il consumo nelle ore di punta le tubature dovevano avere portata doppia a quella delle sorgenti. Infine, si stimò la portata massima della rete alta in due litri e quella massima della rete bassa in quattro litri. Il numero di abitanti fu ritenuto per approssimazione proporzionale lungo ogni punto della rete. Questo sistema permetteva in assenza di consumo dei privati per otto ore la ricarica dei serbatoi con 28800 metri cubi d’acqua, quindi in caso di necessità bastava sospendere l’erogazione alle abitazioni per alcune ore e chiudere la saracinesca al termine dell’opera lungo la via per Acerno. In presenza del consumo dei privati quest’ultima saracinesca rimaneva aperta e l’acqua non utilizzata andava perduta. In piazza Leonardo Di Capua era previsto il collocamento di un’ulteriore tubatura con saracinesca di diametro 0.05 mt., per non interrompere il servizio in caso di lavori. Il progetto prevedeva la costruzione di tutti gli arnesi per la manutenzione e gestione delle reti, mentre le curvature dovevano essere progettate in corso d’opera. Furono progettate anche le fontanelle, gli sfiatatoi automatici, i sifoni, le saracinesche, i pozzetti di manovra e quelli intercettatori per lo scarico nelle fogne.
La rete alta riforniva la fontanella in “piazza San Domenico”, quella in “Via Anisio” e la fontana in “Piazza Leonardo di Capua”. La rete bassa enumerava ben sette fontanelle: sul ponte di “via Salice”, sulla strada “Bagnoli-Acerno”, presso la chiesa di San Rocco, in “Via Bonelli” di fronte allo sbocco di “via Carpine”, in “piazza del Duomo”, in “via Garibaldi” dov’è la fontana del “Gavitone”, in “piazza Leonardo Di Capua” e in”via Ronca”. L’acqua di scarico delle fontanelle finiva direttamente nella rete fognaria, alcune avevano dei sifoni per il lavaggio sistematico delle fogne. Questi sifoni potevano scaricare fino a quattrocento litri d’acqua ciascuno nella rete fognaria. Si stimava che le altre fontanelle avrebbero scaricato i 2/3 della loro portata giornaliera garantendo il deflusso dei residui organici nei canali. Si prevedevano anche dieci bocchette antincendio da collocare dove segnalato dall’amministrazione comunale.
Erano previsti due lavatoi pubblici coperti di pianta rettangolare (12.20mt.x8mt.): uno sulla strada “Calore-Ofanto” per la zona alta e uno in “piazza San Rocco” per i residenti della zona bassa. Erano previsti vani cantinati, un tetto a padiglione per l’aerazione e una vasca centrale da dodici posti. Il lavatoio della “Calore-Ofanto” scaricava le acque nel vallone di “San Vito”, mentre quello in “piazza S. Rocco” scaricava nella rete fognaria. Erano riforniti di acqua per dodici ore al giorno, ma essendo la vasca centrale di 3000 metri cubi si poteva svuotare solo tre volte al giorno.
Per l’allacciamento e la protezione delle sorgenti si prevedeva una spesa di 9802,65 lire, per il serbatoio 30066,21 lire, per la rete di distribuzione di oltre 36659,02 lire, per i lavatoi di 17221 lire; infine occorrevano 33143 lire per gli espropri, per il collaudo e per la direzione dei lavori. Fisher richiese un compenso di 132143 lire. Si consigliava al comune di cedere utenze private da 250 litri (al giorno) e utenze da 500litri al doppio della prima tariffa. Il sistema non permetteva l’adozione di contatori per punire le eccedenze. Approssimativamente 366733,42 euro dei nostri giorni. La relazione si conclude con la data del 28 ottobre 1916, ma i disegni del progetto in allegato sono andati perduti. Trattandosi della seconda copia della relazione, non ci resta che ipotizzare la presenza del documento completo di disegni negli archivi municipali. Nei prossimi numeri parleremo della realizzazione della prima rete fognaria bagnolese a inizio XX secolo.