Le montagne
29.03.2016, Articolo di Rocco Dell’Osso (da “Fuori dalla Rete” – Marzo 2016, Anno X, n. 1)
Levavi oculos meos ad montes
Per puro caso curiosando su uno scaffale di libri usati, mi è capitato tra le mani il libro di Nello Molinario “La rivoluzione proletaria di Pietro Paolo Parzanese”, libro che tra le altre cose affronta la poetica del Parzanese, riportando molte sue poesie.
E’ appunto sfogliando questo libro che mi sono imbattuto nella poesia “Le Montagne”.
Ho cominciato a leggere e già dopo i primi versi la mia immaginazione era in volo sulle “nostre” montagne, forte era la percezione che la poesia descriveva in versi, e con dovizia di dettagli, luoghi conosciuti e assai cari.
Memore del “Viaggio a Bagnuolo” di Parzanese nell’agosto del 1835 e soprattutto della sua escursione a ”Lacino” nella giornata del 13 agosto 1835, ho continuato a leggere la poesia, avendo più e più riprove della prima impressione.
Nel mentre leggevo i versi, immaginavo il Parzanese, seduto sugli spuntoni di roccia sopra la grotta di San Guglielmo, ai piedi della cappella del Salvatore. Qui lo vedevo contemplare la bellezza di Lacino e con carta e penna in mano tradurre in versi paesaggio ed emozioni.
Bagnolese fin nell’intimo della cromatina, non posso sicuramente essere obiettivo, ciò nonostante ritengo quasi certo che il Parzanese si sia ispirato alle nostre montagne quando ha scritto questa poesia. Forse è più corretto dire che il Parzanese ha trasposto anche in versi, la sua escursione sul Laceno del 13 agosto 1835.
Oltretutto la bellissima esposizione che fa dell’altopiano Laceno, del Cervalto, della Tornola, del Lago, delle faggete e di quant’altro descritto nel suo “Viaggio a Bagnuolo”, rispecchia pienamente i versi di “Le Montagne”.
Sarebbe interessante avere un’analisi critica anche da parte di “non” bagnolesi, quantomeno per non essere tacciato di eccessiva partigianeria.
Ma vediamo qualche passaggio nel dettaglio:
“Le antiche saluta d’Irpinia montagne”
sono già un chiaro riferimento, così come il seguito sembra difatti accompagnare la sua escursione a Lacino.
“O rupi di boschi profondi coperte”
sono un chiaro riferimento a Caliendo che il Parzanese ha avuto modo di vedere in tutta la sua bellezza passando per il sentiero sopra la Grotta di San Pantaleone; così come:
“Che avvolte di nebbia nel tremulo velo,
Come ombre si levan sul lembo del cielo!”
lasciano immaginare come sono apparse il Cervarolo ed il Cervialto nella nebbia del mattino all’arrivo sul Laceno.
“L’erbosa pianura di lume si allegra”,
evidente è il riferimento all’altopiano del Laceno, ma ancora più esplicito è il riferimento alla “Tornola” ed all’inghiottitoio della Scaffa con i versi:
“Si frange la luce negli alti torrenti,
De balze dirotte nel buio cadenti”.
Ma più di tutti, chiari ed espliciti, oserei dire quasi univoci, sono i riferimenti al Lago:
“Al raggio di luna sorride l’azzurro
Aspetto del lago, che limpida ha l’onda:
Il lago che geme si mesce al sussurro
Dei salci che piangon su l’umida sponda:
E, al chiaro de l’alba di amore di stella
Ne l’onde spianate si affaccia più bella!”
E poi ancora:
“E al pianger del lago e al fremer de’ venti
Infondono un suono di eterei concenti.”
In ultimo il riferimento ai boschi di faggio:
“Il vento che mesto tra faggi sospira,
Del bosco tranquillo nel fondo più muto,
S’intende da lungi qual fremer di lira,
Qual dolce lamento di molle liuto:
E muore con l’aura che bacia le fronde
stanco dal volto si addorme su l’onde.”
Per finire e non tediare ulteriormente il lettore, chiudo questa semplice ed estemporanea dissertazione su “Le Montagne” di P. P. Parzanese evidenziando (come già fatto da Michelino Nigro), la straordinaria importanza storica e culturale che rappresentata per i Bagnolesi la narrazione del “Viaggio a Bagnuolo”.
La figura del Parzanese meriterebbe maggiore attenzione da parte dei Bagnolesi, magari riappropriandoci e pubblicando il “Viaggio a Bagnuolo”; e chissà, nel prossimo futuro qualcuno si farà carico di riconoscergli la giusta collocazione nella toponomastica locale.
Per completezza, di seguito il testo integrale della poesia, così come riportata da Felice Molinario.
* * * *
Il sole tramonta: di un lento vapore
La sera fa opache le quote campagne:
E vespero acceso di roseo chiarore
Le antiche saluta d’Irpinia montagne,
Che avvolte di nebbia nel tremulo velo,
Come ombre si levan sul lembo del cielo!
*
rupi di boschi profondi coperte,
Oh! Quale in voi posa solenne quiete!
Di fonti irrigate, di pascoli liete!
Potessi notturno deh! a l’auri di estate
Le vostre trascorrer convalli beate!
*
Qual vista! Remota de l’ultima balza
Le chiuse boscaglie la luna saluta;
Immensa di rocce catena s’innalza,
Finché ne le nebbie l’estrema è perduta;
Com’onda sopr’onda succede nel mare,
E il cielo a confine del pelago appare.
*
L’erbosa pianura di lume si allegra:
De’ colli s’infoscan gli aperti intervalli:
Ne l’erme foreste la notte più negra
Riposa più negra nel sen de le valli:
Si frange la luce negli alti torrenti
De balze dirotte nel buio cadenti.
*
Al raggio di luna sorride l’azzurro
Aspetto del lago, che limpida ha l’onda:
Il lago che geme si mesce al sussurro
Dei salci che piangon su l’umida sponda:
E, al chiaro de l’alba di amore di stella
Ne l’onde spianate si affaccia più bella!
*
Il vento che mesto tra faggi sospira,
Del bosco tranquillo nel fondo più muto,
S’intende da lungi qual fremer di lira,
Qual dolce lamento di molle liuto:
E muore con l’aura che bacia le fronde
stanco dal volto si addorme su l’onde.
*
Son fate ne’ raggi degli astri vestite,
Son silfi alianti su’ roridi fiori,
Che volan per quelle foreste romite,
cantan tra l’ombre dei grigi vapori?
Quai spirti sui prati fanno agili danze
Avvolte in un nembo di pure fragranze?
*
E’ di angeli eletti un candido stuolo,
Che su le riviere dei fiumi viaggia:
i monti trascorrere con tacito volo,
Quel gruppo di stelle, che l’aere irraggia;
E al pianger del lago e al fremer de’ venti
Infondono un suono di eterei concenti.
*
E l’anima lieta de’ cieli stellati.
Di freschi profumi, di casta armonia,
Con gli angioli vola su l’erbe de’ prati,
Per entro ai pianti si schiude la via:
Infin che su l’ale degli’inni rapita
Si perde in un mare di luce infinita!