L’Irpinia delle streghe
30.11.2015, Articolo di Vincenzo Garofalo (da “Fuori dalla Rete” – Novembre 2015, Anno IX, n. 6)
Quante volte da bambini ci hanno raccontato dell’orco o della strega? Quante volte abbiamo immaginato nella notte strane creature illuminate solo dalla luce lunare? E’ capitato, probabilmente un po’ a tutti, di vedere i vari film hollywoodiani sull’occulto e sulle strane creature che intrattenevano rapporti con il diavolo, ma nel folklore irpino queste strane donne, le streghe, sono presenti da ben più tempo della pellicola cinematografica.
Fatucchiere, megere, maghe, rese famose per lo più attraverso le storie sulla città di Benevento (dove producono un liquore arcinoto a livello globale con il nome, per l’appunto, Strega), erano abitanti, un tempo, della provincia irpina.
Ma chi erano queste donne? Potremmo dire che le streghe furono vittime innocenti? Probabilmente si, vittime di una cultura bigotta e intrisa di superstizione, di follia e malvagità. L’Inquisizione Cattolica, coi suoi torturatori e cacciatori di streghe, ha mietuto un’incredibile quantità di vittime nel vecchio continente, per lo più donne, accusate di praticare strani rituali in nome del demonio.
In Irpinia, però, non furono molti i processi contro queste donne/creature della notte, e ancor meno le condanne e torture inflitte (nota, anche attraverso i libri di storia, era la condanna al rogo, inflitta a Giovanna D’Arco, accusata, infatti, di praticare la stregoneria).
Nella nostra terra, però, queste creature hanno assunto, quasi fino a tempi recenti, uno strano ruolo: curatrici e vendicatrici. Le streghe, note come janare, piuttosto che masciare, popolavano i più disparati comuni irpini. Rapivano i bambini, non concedevano un sano riposo alle loro vittime, rubavano, producevano strani intrugli d’amore e pericolosissimi veleni. Figurano un po’ dappertutto, con i loro diversi nomi, a svolgere diversi ruoli nei racconti tramandati di generazione in generazione.
Si racconta, per esempio, a Torella dei Lombardi, dell’esistenza di uno strano albero maledetto (un castagno) sotto cui fu uccisa una donna, il cui spirito, ferito e martoriato dalla violenza subita, abbia per lungo tempo preso a spaventare i passanti.
Sempre d’alberi si racconta, ma spostando l’attenzione ai confini con il Sannio, ad Altavilla Irpina. Stavolta la pianta, simbolo della magia, è un noce (tipicamente associato alle riunioni di streghe), sotto cui erano solite danzare, accompagnate dal demone cornuto, le donne del diavolo. Un antico racconto parla d’un povero disgraziato, gobbo e sfortunato che, una notte, tornando dalla vicina città, diretto a casa, intravide tra i rovi delle luci. Avvicinandosi notò un’aria di festa e ne fu attratto. Non riconobbe subito le maligne creature e si fermò con loro a banchettare, ma queste strane e cattive donne iniziarono a produrre incantesimi e magie e spingendolo, talvolta strattonandolo, gli spostarono la gobba sul petto. Il pover uomo, scosso, fuggì fino alla porta di casa, ma quando bussò la moglie non lo riconobbe e lo scacciò.
Probabilmente, però, è in uno dei comuni nel cuore della provincia che si racconta di una strega piuttosto maligna: Gesualdo. Qui, dove visse il principe dei musici, Carlo Gesualdo da Venosa, si narra una storia cupa e misteriosa. Il musicista, principe e mecenate, dopo un suo primo matrimonio, che lo lasciò vedovo, prese in moglie una cugina della potete famiglia estense: Eleonora d’Este. La principessa ferrarese, dopo il matrimonio, venne a vivere nella rocca irpina. Il matrimonio, però, ben presto divenne una maledizione.
Il principe di Gesualdo aveva un’amante, una popolana. Questa donna, che intratteneva rapporti amichevoli con una fattucchiera nota, ben presto intraprese la via della stregoneria. Quando Carlo Gesualdo tentò di liberarsene, perché devoto alla nuova e giovane moglie, la megera compì un incantesimo potentissimo.
La storia, per quanto possa dirsi storia e non mito, vuole che la popolana corruppe lo spirito e la salute del suo principe con uno strano sortilegio, compiuto con l’inganno: intinse del pane in alcuni suoi umori e ne fece cibo per il suo signore. Questi, infatti, non ci volle molto a cader malato.
Subito le donne (la popolana artefice del sortilegio e l’amica fattucchiera) furono catturate e imprigionate nelle segrete del palazzo. Medici e preti, invocando la forza del Signore, tentarono con strani intrugli di salvare la vita al principe, ma non sortirono alcun effetto benefico, anzi, la salute di Carlo Gesualdo peggiorò. Solo uno staff estense, di curatori e guaritori di casa d’Este, intervenendo su richiesta della sposa, riuscì a rimettere in salute il nostro futuro famoso compositore.
Delle due donne si perse traccia, il principe, infatti, intercesse e ne chiese la scarcerazione. Esse sparirono nel nulla.
Non molto tempo dopo ad ammalarsi fu anche la principessa Eleonora. Quando morì lo sposo, e fece ritorno in terra natia, la sua salute ritornò florida. Si pensò, anche allora, a un influsso maligno opera delle due scomparse streghe.
Adesso, di queste donne misteriose e potenti, restano i racconti. In essi vive l’antica storia della provincia, delle donne e degli uomini che popolavano le campagne, i monti, le colline e i piccoli centri urbani, e queste storie, che pian piano si diluiscono nell’avanzare della modernità, finiscono con l’esser dimenticate.