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Il Raiamagra

28.08.2015, Articolo di Vincenzo Garofalo (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2015, Anno IX, n. 5)

Il Raiamagra è un viaggio con due volti, uno dinamico e rumoroso, durante le ore diurne, uno magico e suggestivo, durante le ore della notte. Abbiamo scelto di raccontarvi il secondo, quello fatto di ombre, silenzi, stelle ed emozioni. Camminare consente di percepire la realtà con tutti i sensi, di farne pienamente esperienza lasciando all’uomo l’iniziativa.

Con le parole di David Le Breton (tratte dal libro Il mondo a piedi. Elogio della marcia ) ci accingiamo a raccontare un’escursione lungo uno dei sentieri più comuni del Parco Regionale dei Monti Picentini, ma che difficilmente viene approcciato con animo d’avventura.

Il Raiamagra è una delle vette che fa da cornice all’altopiano del Laceno, luogo turistico d’Irpinia per eccellenza, inflazionato dal turismo domenicale dei pic-nic e poco compreso quale meta dell’escursionismo montano. E’ dopo le ore del tramonto, infatti, che l’atmosfera rumorosa del fine settimana tende a scemare, restituendo alla natura la propria dignità.

La nostra ascesa alla vetta del monte ha avuto una cornice suggestiva: l’assenza della luna, un cielo stellato incredibilmente bello, il silenzio tenebroso dei boschi, il canto delle cicale, la serenità assoluta regalata dai panorami. Camminare è un modo tranquillo per reinventare il tempo e lo spazio. Prevede uno stato d’animo, una lieta umiltà davanti al mondo, un’indifferenza alla tecnica e ai moderni mezzi di trasporto, o, quantomeno, un senso della relatività delle cose.

Raggiunto l’altopiano, e parcheggiata l’auto nei pressi della stazione sciistica del Laceno, con l’aria tiepida e pulita della montagna abbiamo puntato alla vetta. La seggiovia, di giorno attiva e produttrice di un lento cigolio sordo, taceva dormiente. Lasciandoci cullare dall’abbaiare lontano dei cani e dal suono ritmico e cadenzato dei campanacci delle mucche al pascolo, ci siamo diretti al sentiero che, in circa due ore, ci avrebbe condotto alla meta. Varcato il cancello di legno, camminando sulla ghiaia e sulle foglie morte, ci siamo lasciati alle spalle ogni segno dell’antropizzazione. Quello che immediatamente conquista l’anima è il suono del bosco, fatto di canti, fruscii, scricchiolii. Il viandante afferra il suo tempo, non si lascia afferrare dal tempo. Il primo tratto del sentiero, in discreta pendenza, percorso con le luci grigie del crepuscolo, scorre lento, introducendo l’escursionista al mondo misterioso che di li a poco l’avvolgerà. Le scarpe sulla ghiaia producono un suono triangolare, che misura i metri percorsi, che dichiara la presenza dell’uomo nel cuore del bosco. In quattro, passo dopo passo, abbiamo annunciato alle creature selvagge la nostra presenza. Incursori indiscreti, rapidi dalla voglia della vetta, abbiamo proseguito il nostro viaggio d’ascesa nella natura.

Circa un’ora di cammino, si raggiunge la tappa intermedia: il rifugio Lacenò. Durante le ore diurne animato dal chiacchiericcio, dai rumori dei turisti a contatto – unidirezionale – con la natura. Durante le ore della notte uno spazio silenzioso, una piazza per le creature del Parco.

Dopo una rapida sosta per reintegrare un po’ di liquidi persi durante la salita, complice la pendenza e il caldo estivo, abbiamo seguito il sentiero per addentrarci nel monte più autentico. Nessuna luce, una quieta seggiovia sospesa ed immobile nella notte, alberi antichi, occhi furbi nelle tenebre, sicuri di essere osservati, incapaci di scorgere i nostri compagni di viaggio.

Le piccole torce dalla luce bianca ci illuminano il percorso, stentano a filtrare tra i rami e la boscaglia circostante. Qualche lucciola solitaria in escursione ci taglia la strada, altre insetti in uscita di gruppo puntano la luce. Proseguiamo il cammino, volgendo di quando in quando lo sguardo al cielo. Le stelle fanno capolino tra le fronde degli alberi, luminose e brillanti come mai le abbiamo viste. Sono piccoli diamanti che riflettono la luce, incapaci di illuminarci la strada, ma consce della propria bellezza.

Ogni tanto uno spiazzo, in pendenza, ci lascia a bocca aperta. Il sentiero curva, ma lo sguardo fila dritto fin nel cielo. Uno spettacolo, quello offertoci dalla natura, che nella turbolenta vita quotidiana nessuno riesce a godere: la fretta, il bisogno di correre tengono lo sguardo fisso a terra; le luci della città bruciano il cielo, nascondendoci la sua bellezza quieta.

Con le parole di Julien Gracq, proviamo a descrivere le sensazioni: Ci inoltrammo a piedi in uno di quegli alti corridoi neri. La quiete della notte era assoluta (…); ben presto ci trovammo a procedere in silenzio, poi cominciò a pervaderci un senso di malessere: eravamo partiti per una lunga camminata (…). Mi è parso di intravedere, quella notte, la causa dell’angoscia che opprime chi si avventura nel bosco una notte senza luna. Tratto da Il mondo a piedi. Elogio della marcia di David Le Breton, 2000.

Il malessere fa capolino, indubbiamente, quando la salita sembra interminabile, la notte buia risveglia ansie e timori. I rumori del bosco sono vicini, gli occhi però non hanno possibilità di scovare chi li produce. Non c’è altro uomo in giro, siamo in quattro, e tutt’intorno infiniti fusti neri ci circondano. L’adrenalina sale, la strada continua, la voglia di raggiungere la vetta non si dissolve. Dopo un attimo di titubanza, continuiamo il nostro piccolo viaggio. La pendenza aumenta, ma si intravede, nel nero della notte, il rifugio della vetta, l’Amatucci. Siamo quasi a quota 1700, l’aria è tiepida ed il vento non ci avverte della sua presenza. Abbiamo percorso 5,5 Km, e la meta è a pochi metri da noi. Raggiungiamo la vetta, la seggiovia è sempre li, ferma. Proseguiamo lungo un breve sentiero più stretto, ma meno scosceso, stavolta in discesa. La fine del viaggio è vicina.

La casetta canadese ci da il benvenuto. Abbiamo raggiunto il punto d’arrivo. Ci liberiamo dagli zaini, troviamo posto sulle rocce, ci sentiamo felici. Non ci sono parole giuste o sbagliate per raccontare le emozioni, tutto è un mix incredibile di elementi che si intrecciano e fondono, creando confusione nell’animo. Dinanzi a noi un’infinita rete di vette, scure contro il cielo illuminato, in lontananza, dalle luci di Salerno e del golfo. Raggi arancioni e gialli irradiano l’orizzonte, un tramonto invertito. Le montagne fanno da barriera, imponendosi maestose sul mare scuro. Alle nostre spalle un sentiero cupo, intorno a noi il canto del bosco, su di noi un’immensità di stelle. Sono li, numerose come le gocce della pioggia, brillanti, piccole e grandi, a fare da cornice alla signora di questa notte: la via Lattea. La si vede ad occhio nudo, affusolata e sinuosa, nel cielo attraversato da qualche aereo diretto chissà dove, indifferente al nostro sguardo, eterna. Restiamo in silenzio, poi le emozioni fluiscono dalle labbra: è uno spettacolo incredibile, non riusciamo a non dircelo. Vi lascio in compagnia di qualche immagine, esprime, indubbiamente, più delle parole l’emozione provata.

LA FOTO

Monte-Raiamagra-RIfugioLa casetta canadese sul Raiamagra.
In ordine da sinistra, verso destra:
Fabio Morrone, Vincenzo Garofalo, Luigi Ambrosone, Antonio Michele Renzulli.

 

                                                                                                       

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