La pinacoteca di Bagnoli
di Amalia Trillo
(Articolo tratto da “Fuori della Rete” 05/2010 – Pubblicato sul sito di “Palazzo Tenta 39″ di Bagnoli Irpino il 06.05.2010)
Ho in soffitta una scatola, dove ho riposto discorsi, ricerche, testimonianze di mio padre Michele Trillo.
Ho sempre sperato di dedicargli più tempo. Ho sfiorato, sfogliato, accarezzato tutti questi fogli abbandonati, ma non di più. Tempo fa, dopo questi soliti approcci, è seguita un’analisi più accurata. Su questi foglietti ingialliti, uniti da un semplice spillo, era scritto: “La pinacoteca di Bagnoli Irpino”
Li trascrivo, non manipolandoli, perché vorrei trasparisse, attraverso essi, tutto l’amore che mio padre sentiva per il suo paese.
“E’ davvero meraviglioso trovare raccolti in un roccioso villaggio, isolato ed elevato sulla linea ferroviaria serpeggiante tra gole e vallate, numerosi quadri dipinti da artisti, nati e vissuti durante il secolo scorso nella terra che, topograficamente sembra quasi isolata dal mondo, nella terra di Bagnoli Irpino che è pur tanto antica di storia e di vicende.
Infatti essa ospitò verso il 1500 gli accademici pontaniani, invitati dal duca Troiano Cavaniglia di Spagna, i quali la definirono “domus deorum”. Poi tutta la storia di Bagnoli è storia feudale, tra il costante succedersi di duchi spagnoli e fino al 1806, anno in cui da Giuseppe Buonaparte fu abolita la feudalità nel regno Napoletano.
Allora la sete di libertà, a lungo repressa, divampò ed in Bagnoli si ebbe, come ci dice la storia del Bucci, una vendita carbonara: I figli del sole, e poi, anche un nucleo della Giovane Italia.
Senza attardarci sui cenni storici, torniamo al compito proposto; quello di esaminare i bozzetti conservati nell’edificio comunale.
Una piccola Pinacoteca, ricca di numerosi quadri che fermano l’occhio del visitatore, prima incuriosito; poi attento e commosso da tanta semplicità ed originalità di arte e di sentimento. In questi quadri sono completamente assenti i motivi
Architettonici, coreografici e classicisti.
Due firme vi ricorrono quasi sempre: Achille Martelli, Michele Lenzi. Nomi non privi di lustro, se ricerchiamo nelle biblioteche napoletane i volumi sull’arte moderna in Italia, ad esempio quello della Principessa della Rocca.
Iniziamo intanto una fugace rassegna.
”La nonna insegna la calza alla nipotina” del Lenzi.
Quadretto di grande bellezza e semplicità che esprime pace serenità,mitezza e compostezza di costumi, assenza di travagli in espressioni dominate da quella serietà rude e da quella tristezza agreste, propria della gente dei paesi lontani dalla città chiusi in una corolla di monti; che donano agli abitanti tutta la purezza ossigenata dei loro castagneti, tutta la plasticità dei loro colori, tutta la freschezza delle loro acque, ma che chiudono, anche, le visioni di orizzonti aprichi e lontani. E quel senso di isolamento, di freddezza, che si prova guardando i panorami bagnolesi, è tutto lì negli occhi della vecchia e ossuta nonna, mentre insegna la calza alla nipote. Questa è scalza, con un piede sull’ altro ‘ritta e poggiata al seno dell’ava. Non c’è languore di affetto, in un ambiente domestico e spirituale privo di illusioni e di fantasia, e dominato da un aspetto risaltante: l’impronta del verismo.
La posizione e l’espressione del gatto accovacciato sul seggiolone, più che dare un senso di dolce serenità domestica, è un’immagine pesante, quasi cupa, che lascia piuttosto pensare che la sua presenza sia necessaria per completare il tono generale dell’ambiente, dominato dal senso del lavoro e delle difficoltà familiari.
Tale apparente atrofia espressiva nei personaggi è ancora più sensibile nei quadri di donne pensose.
Qui una giovinetta chiusa e sola nella sua cameretta, pensa forse alla prima proposta d’amore, senza velo alcuno di romanticismo, ma fissa nello sguardo e nella posa.
Una donna matura, una madre, una massaia dall’aspetto serio ed anch’esso tutto dominato da quella fissità negli occhi, nei pensieri, che hanno forse per oggetto i l lavoro del campo, la cura delle bestie, il necessario per la famiglia, il corredo per la giovane figliuola.
Una scena più raddolcita e più vivace si osserva in un quadro ad olio di Achille Martelli rappresentante l’interno di una sartoria, ove donne sorridenti e allegre, leggermente, ma anche ingenuamente, civettuole, sono divertite dalle facezie e dalle arguzie di un venditore girovago tondo e ridanciano,che la sa lunga e sa soprattutto come accattivarsi i clienti.
Una scena dolce, nella intimità familiare, è rappresentata in un quadro solo abbozzato, che raffigura l’interno di una sala, ove il marito suona la chitarra tenendo raccolti intorno a sé i figliuoli, mentre la moglie in disparte allatta un pupo (Si raccontava che l’ex re Umberto di Savoia volle avere con sé questo quadro nel ricovero montano del lago Laceno.
Di Michele Lenzi un bellissimo e caratteristico quadro ricco di espressione e perfetto nelle forme; indice chiaro e preciso di quel la rigidità spirituale, rivelatrice di sentimenti profondi ma cristallizzati nella monotonia e nella durezza della vita quotidiana.
Rivelatrice di una concezione artistica equidistante – forse spontaneamente – dal classicismo e dal romanticismo; aderente essenzialmente alla natura, a quella natura un po’ angusta e severa che si presenta agli occhi del visitatore nei panorami Bagnolesi cinti tutti intorno da monti enormi che sembrano appunto opprimere lo sguardo.
Tutto il quadro è una sola figura, senza paesaggio e senza sfondo: un giovanetto a mezzo busto e nudo, serra e riscalda, proprio sul cuore, un uccelletto.
Mentre guarda intorno a sé, con l’occhio sconfinante nel vuoto, riflette nel suo pensiero cose tristi, forse sulle vicende dei poveri, dei deboli degli orfani.
Orfano probabilmente anche lui, come quell’uccelletto: possono perciò, intendersi a vicenda senza linguaggio.
Ma l’uccello è ormai tranquillo in quel caldo nido; mentre il suo benefattore resta seriamente pensoso.
Un senso di pessimismo dunque? Un’eco leopardiana o ricordi pascoliani, retaggio di studi ed impressioni giovanili? Difficile ed anche poco utile sarebbe volerlo stabilire. Di sicuro è che questa figura di giovane contadino rappresenta la fisionomia spirituale, propria della gente, dei pastori e dei contadini bagnolesi, provati ai duri lavori ed alle faticose ascese giornaliere, su per l’erte pietrose; abituati al pan nero ed al consueto latte, che inaridisce lo spirito anche se consolida le membra: gente vissuta in clima feudale, forse fin dal tempo dei longobardi e che certamente vide splendori e vergogne, battaglie e soprusi dei vari padroni feudatari dell’antico castello di Bagnoli. Gente che da lunga epoca aveva morso il freno dell’obbedienza ed aveva sentito rodere, nascosta nel petto, la fiamma della libertà. Gente che aveva provato troppo a lungo il peso della volontà altrui e che infine imponeva gelosamente la propria. La fisionomia e la storia spirituale, dunque di questa parte della terra Irpina, di questi disagiati villaggi allacciati dalla linea ferroviaria di Rocchetta è tutta qui concentrata ed artisticamente espressa.
E forse, nell’espressione del giovane contadino conservato in un quadro di questa pinacoteca, c’è anche un proposito un’aspirazione, una volontà di redenzione sociale; c’è l’idea e l’opera di Michele Lenzi“.
Un appello ai soci e non affinché si possano sensibilizzare sulla ricerca e lettura di tutti gli altri quadri.
Un’ esortazione all’amministrazione di esporre quanto prima queste opere d’arti con l’arricchimento ed ampliamento dovuto, in modo ché tutta la popolazione possa conoscere ed essere orgogliosa delle opere di questi grandi artisti.
Articolo, La pinacoteca di Bagnoli, Amalia Trillo, 02.05.2010