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La mala hora Bagnolese …

28.08.2014, Articolo di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2014, Anno VIII, n.4)

In una mattina di luglio, una delle poche non piovose, mi recavo in biblioteca per restituire dei libri e prenderne altri. La biblioteca “Pescatori” è ubicata in un paese con un immenso patrimonio artistico-culturale: ha avuto moltissimi uomini di cultura ed è disseminato di monumenti. Questa struttura è una grande risorsa gratuita al servizio della comunità, eppure sono in pochi ad usufruirne ed in questi anni sta lentamente morendo. Probabilmente questo trend ci permette di capire come negli ultimi tempi il nostro paese non abbia avuto grandi figure o sul perché tutte quelle che furono le famiglie illustri di Bagnoli siano andate via.

Ebbene, come spesso capita i volumi a cui ero interessato erano ancora fuori e quindi presi il primo libro che trovai: “La mala ora” del premio nobel Gabriel Garcia Marquez. Un breve romanzo ambientato in un villaggio della Colombia negli anni 60’. Opera basata su una trama semplice e nello stesso tempo complessa, per la creazione di un mondo così fantasioso che rasenta la realtà. Quest’opera mi ha ricordato moltissimo la nostra comunità a partire dall’escamotage su cui si sviluppa la narrazione: le pasquinate.

Cosa sono le pasquinate? Le pasquinate prendono il nome da Pasquino statua romana mutilata ritrovata nell’omonima piazza romana seicento anni fa e usata dalla popolazione locale fino al 1870 per affiggere nella notte anonimi manifesti satirici contro la corrotta curia papale. Anche i politici si servirono di questa statua per denigrare gli avversari politici. Da Roma questa usanza si è diffusa in tutto il mondo.

Dobbiamo dire che le pasquinate politiche fino a qualche lustro fa erano usuali anche nel nostro paese, ora invece il dibattito si consuma con manifesti e articoli.

Nel romanzo le pasquinate venivano affisse durante la notte sulle porte degli interessati per raccontare i loro vizi ed intrighi, già conosciuti in paese sotto forma di pettegolezzi. Sorbivano l’effetto di destabilizzare il tessuto sociale e spinsero un marito ad un delitto d’onore. Accadeva ciò, perché si trattava di un abitato isolato e lontano dal mondo globalizzato dove venivano fuori anche i lati negativi di ciò che comporta la vita di paese. Nonostante lo sparlare avesse causato un morto, la popolazione continuava ostinatamente a perseverare in questo vizio. Si diceva in giro che un uomo avesse sorpreso la moglie con l’amante sparandolo, in realtà aveva sparato ad una scimmia guardona. Il barbiere era l’emblema di questo viscido villaggio: lodava davanti i clienti, li criticava alle spalle. Ognuno era pronto a usare la doppia faccia per lesinare vantaggi dai potenti. Gli individui erano schiavi del denaro e cercavano di lucrare su tutto, anche sugli alluvionati. Il capo dell’opposizione politica aveva tradito e venduto tutti i suoi uomini per impossessarsi delle loro terre. Gli uffici pubblici funzionano a mala pena e i funzionari abusavano del loro potere per arricchirsi in modo facile e veloce. La superstizione spopolava nell’ignoranza generale fatta cultura. Gli odi politici spingevano il paese sull’orlo di una nuova guerra civile. Col tempo le ipocrite maschere di cera della borghesia iniziarono a sciogliersi spingendo molti a lasciare il paese. Per la costernazione del parroco si scoprì, infine, che i responsabili delle “pasquinate” erano tutti e nessuno…

Il romanzo vuol denunciare il regime violento della Colombia di quegli anni, tuttavia è la società delineata da Marquez ad avermi colpito. In quest’agosto di santi, feste e processioni, sembra ancora più realistica la visione dei paesini di Marquez. Ad esempio proprio le processioni nate come manifestazioni di fede popolare sono oggi, soprattutto nelle retrovie, un connubio tra trekking e gossip. Sempre pronte a richiamare gli altri delle vere e proprie redazioni giornalistiche, tra un canto e l’altro, danno vita a dei talk-show coperti dalla banda. Si inizia a parlare di Tizio che ha litigato, di Caio che è cattivo, di Sempronio che ha problemi, di Marcantonio che è malato, di Cesare che ha l’amante, di Augusto che ha fatto quello e Vespasiano quell’altro. Così vi schifate tutti reciprocamente, mentre un sorriso beffardo balena sulle vostre facce, quando v’incontrate recitando la vostra parte tra questi vicoli.

Sinceramente che v’importa? Non dice la vostra religione “scagli la prima pietra chi è senza peccato”? Di  questo passo farete franare il monte Piscacca su Bagnoli! Gli uomini non sono da meno, ma preferiscono ronzare in piazza e non alle processioni. Qual è, dunque, la vostra fede? Si dice che sia quella degli ultimi e degli oppressi, ma sembra che sia quella dove chi offre di più porta la santa patrona in processione e quella dove solo chi appartiene ad una determinata gerarchia può occuparsi di apertura e chiusura. La religione degli ultimi è stata abolita secoli or sono, a partire dall’antica tradizione (ora cessata) di aprire ai fedeli la teca dell’Immacolata nei giorni ordinari solo dietro offerta. Fede e tradizione popolare non sempre coincidono, riflettete. In nessun testo sacro c’è il tariffario per la fede che ha imposto la   tradizione!

Come avrebbe detto Heidegger quelle delle processioni sono chiacchiere: discorsi per lo più senza fondamento che si alimentano diffondendosi. Essi sono dovuti all’essere nel mondo con superficialità, senza cogliere il vero significato dell’esistenza e senza prodigarsi nell’essere per la morte. Ovvero, nell’esserci come entità aperte alle molteplici possibilità della vita e nel non chiudersi in una visione mondana, vaga e fatalista dell’esistenza.

Aveva ragione Nietzsche: “Dio è morto”, perché è morto quel sistema di valori che ad esso si legava nell’organizzazione della società. Il problema è che gli uomini non sono pronti per una trasvalutazione dei valori, ma sono propensi a ricreare idoli simili a quelli del passato. Pochi hanno il coraggio di andare nella foresta per passare da uomini cammelli a fanciulli, come l’anticristo Zarathustra. Qualcuno forse potrà dire di essere “libero da”, nessuno al giorno d’oggi può affermare di essere realmente “libero di”. Ovviamente il bersaglio di Nietzsche non fu mai la fede in sé, ma le contraddizioni e i castelli di sabbia creati dagli uomini su di essa. Siate fedeli alla terra, perché non dovremo un giorno essere dei?

                                                                                                       

1 Commento »

  • antoniochieffo scrive:

    Che dire? Eccellente. Complimenti Federico; dopo i tanti articoli della serie “se non è zuppa è pan bagnato”, viene fuori il tuo scritto che, avvalendosi di citazioni mooolto erudite, illustra, in modo illuminato, il mondo delle apparenze e delle illusioni in cui vive la gente oggi.

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