Castagne disperate, ma salve grazie alla ricerca italo-nipponica
16.06.2014, La Stampa (di Barbara D’Amico – Agriconnection)
L’Italia è tra i primi produttori al mondo di questi frutti, ma il settore è minacciato da un insetto infestante, il cinipide, che team di ricerca torinesi e giapponesi stanno debellando senza utilizzare metodi invasivi.
Si chiama cinipide galligeno e per chi coltiva piante di castagno è una gran brutta grana. Le origini orientali, infatti, non hanno impedito a questo insetto infestante di coprire l’enorme distanza che separa Cina e Giappone dall’Italia. Trasportato probabilmente attraverso viaggi commerciali, il cinipide ha trovato nei castagneti della Penisola il suo habitat ideale, costituendo un vero problema per coltivatori e produttori. «Le prime segnalazioni sono arrivate più di dieci anni fa dalla provincia di Cuneo, qui in Piemonte», spiega Chiara Ferracini, dottore in entomologia agraria del Dipartimento di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari dell’Università di Torino (Di.Sa.F.A.). «I produttori si lamentavano del fatto che le piante si fossero coperte di strane bolle rosse, così vistose da far sembrare i castagni dei ciliegi». In base a un rapporto stilato dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), del cinipide si avrebbero tracce sin dal 2002 con le prime segnalazioni in Piemonte e in Abruzzo. Poi di nuovo nel 2005 anche in Campania e Lazio e così via sino a coprire tutte le aree in cui sono presenti castagneti.
Che cosa fa il cinipide ai castagni? Questo insetto non fa ammalare le piante, ma ne impedisce un corretta fioritura. «Il cinipide – continua Ferracini – non comporta la morte della pianta ma porta alla formazione di galle (simili a bolle ndr) che bloccano la fioritura: quindi la pianta non produce frutti o comunque ne produce di meno». Sulla correlazione tra presenza del cinipide e capacità di produzione gli stessi ricercatori ci vanno con i piedi di piombo. Secondo il direttore del Di.Sa.Fra, il professor Alberto Alma, tra i massimi esperti del cinipide galligeno del castagno e in contatto con team di ricerca giapponesi che per primi hanno provato a debellare l’infestazione, «non è possibile stabilire una correlazione diretta tra perdita di produzione e presenza del cinipide. Per fare questo dovremmo avere uno storico delle produzioni e delle segnalazioni di cinipide e predisporre analisi che escludano altre cause, in particolare fattori abiotici. Detto, ciò, è però indubbio che il cinipide svolga un ruolo negativo e che sia dannoso per le produzioni». La correlazione, dunque, c’è ma per provarla scientificamente occorre raccogliere molti più dati e su vasta scala.
Campioni di marron glacé In Italia le castagne hanno sempre rappresentato un settore fiorente dell’economia agraria. Solo nel 2012 il Paese ha prodotto 52 mila tonnellate di castagne con una media di circa 50 mila tonnellate l’anno sin dal 2001 (dati Faostat). Quanto a esportazioni, fino al 2010 eravamo i secondi al mondo dopo la Cina. Oggi invece le cose non vanno proprio benissimo. La produzione, in effetti, ha subito dei cali con effetti negativi sulle esportazioni (segnando nel 2012 il 20% in meno rispetto al 2011 e il 30% in meno rispetto al 2010 – dati Coldiretti) e facendo la felicità di Paesi come Portogallo e Turchia da cui abbiamo importato moltissimo (triplicando le quantità di castagne comprate all’estero, proprio tra il 2010 e il 2013). Eppure l’Italia avrebbe tutte le carte in regola per soddisfare il proprio fabbisogno interno e continuare a vendere i golosi frutti anche a clienti stranieri. Nonostante il cinipide, dal 2001 al 2011 il valore dell’export è cresciuto passando dai circa 40 milioni a circa 81 milioni di euro (dati Faostat): non male se si pensa che nel 2013 l’intero settore della frutta secca è valso alle casse delle aziende italiane circa 307 milioni di euro.
Quante castagne perdiamo ogni anno? La colpa di tutto ciò, secondo molte organizzazioni di produttori, sarebbe da addossare al cinipide. In un articolo scientifico pubblicato su l’Informatore Agrario nel 2013, Giovanni Bosio e altri esperti danno conto dello stato dell’arte della presenza dell’insetto nei castagneti italiani stilando un bilancio negativo. «A dieci anni da questa prima segnalazione (in provincia di Cuneo ndr) – si legge – si deve purtroppo constatare il grave impatto della diffusione dell’insetto esotico sulla castanicoltura italiana. In diverse regioni la produzione di castagne ha subito una drastica riduzione, ulteriormente aggravata da annate con temperature estive molto elevate e carenza di precipitazioni. Ricerche effettuate dal Dipartimento di colture arboree dell’Università di Torino stimano una perdita di produttività del 30-60% in impianti con varietà ibride euro-giapponesi e in condizioni colturali ottimali, a distanza di 3-5 anni dalla comparsa delle prime galle (Botta, comunicazione personale). I danni nei castagneti tradizionali su versanti montani, in assenza di irrigazione e fertilizzazione, possono essere ancora più gravi, soprattutto n annate siccitose, arrivando anche a perdite di produzione del 65-85%».
La competitività non è minacciata (solo) da un insetto Il cinipide, quindi, ha aggravato una situazione già complessa, sommandosi ad elementi climatici e deficit strutturali che da soli avevano già minato la competitività italiana nel settore. In un rapporto sul comparto castanicolo della Penisola pubblicato 4 anni fa, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ammetteva il disastro causato dal cinipide, ma analizzava anche le condizioni del mercato e delle strutture produttive nella Penisola. Trai punti deboli, secondo gli esperti del Mipaaf, la mancanza di un sistema di produzione omogeneo in tutte le Regioni, una filiera spesso frammentata, la perdita di competitività nella fase di conservazione e congelamento delle castagne e prezzi inadeguati per i produttori. «Nei castagneti delle aree interne tradizionali – spiega il Documento di Sintesi – l’offerta è molto frazionata e differenziata sia per varietà, sia per qualità (pezzatura, forma dei frutto). L’industria invece chiede partite grosse, omogenee in modo da non dover modificare le linee di lavorazione». Per sopperire a questa carenza strutturale, la Penisola conta tutt’ora su mediatori presenti soprattutto nelle zone «arretrate per impianti e associazionismo (soprattutto le aree interne)». Mentre nelle aree più avanzate, come la Campania, questo deficit inciderebbe di meno, la conservazione del prodotto non sarebbe più una prerogativa della Penisola. «La surgelazione era prerogativa italiana, ora surgelano anche Spagna e Portogallo» denunciava il Rapporto. Infine, il colpo di grazia: nonostante le castagne rientrino tra gli alimenti di più alta qualità al mondo (con 118 prodotti tipici Dop e Igp a base di castagne) «a questo grande patrimonio, tuttavia, non corrisponde un prezzo adeguato a remunerare il castanicoltore».
Lotta biologica, molta pazienza ma risultati positivi Se a un situazione già compromessa si aggiunge anche l’infestazione del cinipide, ecco spiegata la crisi del settore. Per questo e per il fatto di trovarsi nella regione in cui è stato rilevato per la prima volta l’insetto esotico, l’Università torinese e l’amministrazione del Piemonte hanno avviato un programma di studio e di contrasto alla diffusione del cinipide. La ricetta per combatterlo? Utilizzare un’arma naturale: la lotta biologica. «Il progetto di lotta al cinipide è condotto in collaborazione con la Regione Piemonte – spiega Ferracini – Noi siamo stati i primi in Italia a lavorare per combattere la diffusione di questo insetto, grazie alla scoperta di un parassitoide di origini cinesi la cui presenza può impedire al cinidpide di riprodursi». Introdurre un parassitoide esotico può essere pericoloso, per questo la squadra del professor Alma ha effettuato sperimentazioni prima in ambiente controllato e solo dopo in campo aperto: per escludere spiacevoli effetti collaterali.
In questo modo, già nel 2013 il team di ricerca ha ottenuto un risultato concreto: riportare l’infestazione del cinipide sotto controllo. «Nel 2005 abbiamo effettuato il rilascio dei parassitoidi e ora registriamo ottimi risultati, gli stessi riscontrati dal team di ricerca giapponese. Al momento siamo riusciti a diminuire la popolazione del cinipide dall’80% all’1 percento qui in Piemonte». Altre regioni italiane hanno stipulato convenzioni con l’Università di Torino per aderire a questa strategia di lotta biologica. «La lotta biologica ha certamente tempi lunghi – spiega Alma – ma poi è efficace. Il cinipide affligge tutti i castagni, anche quelli delle aree boschive in cui è impensabile intervenire con sistemi chimici».
Nel laboratorio di Grugliasco, in provincia di Torino, i ragazzi e i ricercatori del team di Alma allevano i parassitoidi e preparano le provette da affidare ai tecnici fitosanitari regionali perché li rilascino nei castagneti di tutta Italia. «Tengo a precisare – specifica Alma – che il nostro team di ricerca lavora sul parassitoide per acquisire nuove informazioni. Negli ultimi due anni, grazie a un progetto del Mipaaf, fornisce il prassitoide per le regioni italiane che hanno aderito»
Al momento l’Università di Torino sta chiudendo un progetto ministeriale in collaborazione con il Mipaaf e l’Associazione nazionale del Castagno – progetto BioInfoCast – per la produzione del parassitoide e il suo rilascio su scala nazionale.
Troppi anni passati senza far niente noi agricoltori sono anni che cerchiamo aiuto e solo da pochi anni i Dottori in agraria della campania hanno incominciato a darci aiuto e per non parlare di aiuto noi ci autofinanziamo per far rinascere i nostri castagni ma ormai siamo ridotti all’osso.