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Antichi mestieri – Il calzolaio Lorenzo Capozzi

10.05.2014, L’ intervista di Giulio Tammaro (da “Fuori dalla Rete” – Aprile 2014, Anno VIII, n.2)

Sono tanti gli antichi mestieri che lentamente, ma progressivamente, vengono spazzati via dalla società del consumismo. Emblematico, anche perché indispensabile sino ad un paio di decenni fa, vi é quello del calzolaio. Da premettere che: anche  se i due termini oggi nella lingua italiana sono sinonimi, il calzolaio è colui che fabbrica a mano le scarpe mentre  il ciabattino è quello che le ripara soltanto.

Prendendo in considerazione questa tradizionale professione, il risultato che emerge é assolutamente eclatante, perché e si può verificarlo personalmente, al giorno d’oggi,  se abbiamo bisogno di riparare un paio di scarpe, facciamo prima a buttarle che a  trovare un ciabattino.

Lorenzo Capozzi, classe 1935, è l’ultimo di una lunga schiera di mastri calzolai. Marito, padre e nonno, alla soglia degli ottanta anni, continua a fare il ciabattino, più per passatempo che per un reale guadagno. Ha imparato questo mestiere per necessità ma continua ancora oggi a distanza di oltre sessanta anni a farlo con molta passione.  Siamo andati  a trovarlo nella sua bottega in via D’Asti, dove ci ha raccontato tutti i trucchi del mestiere.

Quando ha iniziato a fare il calzolaio?

Ho iniziato a imparare questo mestiere  nel 1952 .

Da chi ha imparato il mestiere?

Andavo a lavorare saltuariamente come garzone da Vincenzo Pallante detto “u Reppo” che aveva la bottega in via Garibaldi dove attualmente c’è l’Antica Salumeria.

Quando è diventato mastro calzolaio?

Ho lavorato saltuariamente come garzone per circa cinque anni, dal 1952 al 1957, poi nel novembre del ’58 ho aperto una mia bottega in piazza Di Capua, dietro la chiesa di S. Margherita, dove ho lavorato ininterrottamente fino al ’93  anno in cui sono andato in pensione.

Ha imparato questo mestiere per passione o per necessità?

Per necessità sicuramente, a quei tempi poi  il calzolaio era uno dei mestieri più redditizi, non essendoci negozi di scarpe  come oggi ogni famiglia, che era composta minimo da sette persone, era costretta ad andare dal calzolaio per farsi fare un paio di scarpe o semplicemente per farle aggiustare.    Per rendere l’idea basti pensare che alla fine degli anni’50  c’erano circa tredici botteghe in paese.

Un buon calzolaio deve saper fabbricare a mano le scarpe, a Bagnoli erano “famosi” i cianfitti, ci spieghi come li realizzava?

I cianfitti erano le scarpe utilizzate sia dagli uomini che dalle donne, si usavano per i lavori nei campi, le usavano i pastori in montagna. Per realizzarle, ad essere lento, occorrevano un paio di giorni, andavano dal numero 34 al 45 e molte parti tipo la “chiantella” (soletta), il “guardione” (tomaia) o la “sòla” (suola)  le tenevo già preparate e catalogate per numero. Quando poi qualcuno le richiedeva, in base al numero prendevo la “forma” corrispondente al numero e iniziavo a cucire le varie parti. Costruita la scarpa la si rifiniva inchiodando la sola,  ingrassandola  con la sugna.

Oltre ai cianfitti quali tipi di scarpe fabbricava?

Fabbricavo i sandaletti, che erano delle scarpe adatte per i  bambini o ragazzini, infatti andavano dal numero 27 al 34, c’è da dire inoltre che la maggioranza delle persone negli anni ’50 aveva solo un paio di scarpe, che usava tutti i giorni che fossero lavorativi o festivi.

Qual erano gli attrezzi del mestiere?

Principalmente si usava “l’ assùglia” (lesina) che veniva usata per creare i buchi in cui si inseriva il ferretto con lo spago e si  cuciva la “Chiantella” (suoletta)  al “guardione” (tomaio); “la manopola”, che era una striscia di pelle a forma di mezzo guanto, la quale fasciava il dorso della mano sinistra dove si avvolgeva lo spago. Si usava per cucire la suola; “Il martello”,  quello più comune è detto regolare e si compone di due parti: una testa, alquanto bombata e ben liscia,  usata per battere il cuoio, conficcare le “centre” (chiodi),  la parte opposta più allungata e sottile  serviva per fare aderire bene la suola al tomaio; La raspa per sgrossare la suola; Il “catino”  (vetro sottile) utilizzato per lisciarla;  La “forma” che era un pezzo di legno a forma di piede dove si cuciva la scarpa; e poi il coltello, la tenaglia a morsa, la raspa  e il piede di porco.

Consiglierebbe questo mestiere ai giovani?

Si lo consiglierei anche se oggi questo mestiere non rende più come un tempo, adesso quando la scarpa si scolla, invece di portarla a sistemare la si butta nel cestino e se ne compra un’altra, io continuo a fare questo mestiere più per divertimento che per un reale guadagno.

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LA FOTO

                                                                                                       

1 Commento »

  • pietro pagnini scrive:

    Servizi del genere sono educativi, fungono da stimolo alla cretività, oltre che essere interessanti anche per gli argomenti trattati.

    Storie vissute, sono contenitori di emozioni e di opportunità, dalle quali è posssibile attingere ancora idee e trasformarle in progetti.

    Ottimo il contributo e meritato il riconoscimento alle persone e al mestiere rappresentato.

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