Al mio Maestro!
01.05.2014, di Pasquale Sturchio (da “Fuori dalla Rete” – Aprile 2014, Anno VIII, n.2)
Al mio Maestro!
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Sei stato tu ad insegnarmi…
1) Che non bisogna mai rinnegare le proprie radici!
2) Che una persona può guardare dall’alto in basso un’altra persona solo quando deve aiutarla ad alzarsi!
3) Che non bisogna mai piegare le ginocchia davanti all’insolenza dei prepotenti!
4) Che chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso!
5) Che se la Verità ti costa il sacrificio della vita…sii forte nel sacrificio!
6) Che bisogna dare valore alle “cose” non per quello che valgono ma quello che significano!
7) Che bisogna amare anche coloro che non conosciamo!
8 ) Che un sorriso lo si può regalare!
9) Che è importante saper accendere il fuoco ma più importante è saper accendere la bontà!
10) Che a scuola bisogna conoscere “essere e avere” ma nella vita è importante “essere”non“avere”!
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P.S. Semplicemente “Grazie, Maestro per queste lectio vitae!”
Recensione “Al mio Maestro!” (di Giuseppe Marano):
Questa volta il poeta è saltato di registro, o ha saltato il registro! Non è una caduta nè una sublimazione: è un planare nel mondo degli affetti più autentici che coincide con la visione panoptica esistenziale propria di Sturchio. Il mondo rovente rutilante di fervori sanguigni per l’assurdità esistenziale d’un amore negato al culmine di una reciproca incandescenza: la mancanza, innaturale! della fusione, distrugge dolcemente i suoi giorni in una vaghezza disperata e disperante.
Sì, l’ossimoro: la poesia di Sturchio è imperniata e scaturisce dialetticamente da quest’ossimoro esistenziale! Ma sono mondi apparentemente distinti essi rifluiscono in una circolarità compenetrante di macrocosmo. C’è quello dell’immagine fantasmatica interdetta della donna negata-bramata, che diventa ipostasi d’amore-odio, odio tanto più intenso quanto più la Lei si fa amare nella sua inattingibilità, ma c’è anche quello degli affetti pur essi negati dalla vita impietosa sacrilegamente obliterante!
I due mondi convivono in uno, sono coestensivi, sussunti nell’anima del poeta! Qui c’è il ricordo metafisico del Maestro, che va appunto oltre la fragile caducità dell’esistere, è un quid immune al flusso consumante del tempo impietoso che tutto travolge, è un’Idea trasfusa nell’anima come quella paterna che ci portiamo fino alla fine e chi sa? pure oltre!
Anche qui prorompe sanguigna la rabbia straripante dell’affetto. Come la fanciulla tracimante di turgori amorosi “sbommànti”, che lo guarda e lo lusinga, ma col suo sguardo abbacinante lo schianta al culmine del desiderio paralizzando il poeta in uno stato di impotenza psicofisica (= proiettili unidirezionali con traiettoria destinata ad incontarsi scontrarsi esplodere a rinnovare una vita), così la figura del Maestro sfugge nel tempo, ma con lui anche l’allievo che porta dentro per sempre il seme non perduto, quello che non perde ma salva: unico ubi consistam della vita alfine.
Ma il rammarico affiora truce nel poeta come per la mancata collisione amorosa negata interdetta dal fato più ostile: quello indifferente! e piomba anche qui il poeta nella più cupa disperazione dell’assurdo esistenziale! Come possibile che quelle parole alate che scorrono nell’aria nel vento, che sono le qualità materiali più affini allo spirito, al punto dell’estenuazione estrema e della smaterializzazione e trasfusione nell’eterno ineffabile, come possibile che le parole alate del Maestro esistano solo per lui, affettuoso sempiterno memore allievo? Come possibile che le nubi nel cielo terso brunito non si sciolgano in altissime candide lettere illuminate da una luna occhieggiante dalla Madre Superna Acellica e scrivano in alto per tutti la poesia di Sturchio?