Ma zio Paperone era felice?
06.03.2014, L’editoriale (di Emilio Sergio, Responsabile Settore Private Banca della Campania SpA)
Un post firmato da tal Matt Powers, che ho scovato sul web in un classico trip da insonnia prefestiva, spiega quale quantità di denaro sia necessario accumulare per poter nuotare in una piscina di monete come quella di Zio Paperone.
Il calcolo è partito da un’immagine Disney d’antan in cui si può osservare il famoso forziere organizzato in mucchi di denaro ad altezza variabile. Dopo aver stabilito l’altezza del papero, la “densità” della piscina in rapporto al peso di Paperone e l’inflazione accumulata dal dollaro dal 1947 (anno in cui Scrooge McDuck, lo Zione in Italia, è apparso per la prima volta negli USA) a oggi, Powers ha potuto compilare la formula per risolvere l’enigma.
Risultato: Paperone era ricco. Davvero ricco. In valuta odierna, infatti, ogni pila di monete che si vede nei fumetti varrebbe 5,2 miliardi di dollari. Nell’immagine del ’47 se ne vedono solo due (per un totale di 10,4 miliardi) ma dalle ombre nel deposito si evince che lo spazio totale sarebbe il triplo di quello visibile. Il patrimonio personale in cash dello zio Paperone, conclude il blogger, sarebbe quindi di 31,2 miliardi di dollari.
Paperon de’ Paperoni non è affatto un personaggio negativo, Il denaro è ovviamente parte della sua vita e pezzo della sua anima. Parte della sua vita, poiché, come è stato ricordato in una dotta presentazione dei “Classici” di Repubblica, il denaro Zio Paperone lo ha guadagnato tutto da solo, onestamente, e di ogni moneta o banconota si ricorda la storia. Pezzo della sua anima, perché il denaro è il suo destino, il suo scopo, la rappresentazione dei suoi sogni, di quando ancora era un piccolo lustrascarpe che guadagnava il suo primo decino, in Scozia. Un Papero più umano di certi umani, non avaro e freddo come lo Scrooge di Dickens dal quale il personaggio è ispirato.
Zio Paperone è in grado di soffrire, di essere ansioso e nevrotico, di ridere, di aver momenti di euforia, di avere bronci infiniti che durano un minuto, di vivere in un mondo di piccole gioie, soddisfazioni e sorprese. Paperone non incarna solo il mito tipicamente americano del “self made man” e del “capitalismo”, ma, avaro e non avido, supera il topos teatrale del vecchio lenone, tuffandosi letteralmente nell’oro (che grande metafora), e in definitiva non perdendo il confronto in simpatia con il giovane squattrinato e romantico nipotastro.
Studiare zio Paperone ci porta alla radice del problema . Perchè il denaro non basta mai? La natura del denaro porta ad indagare più le vicende dello spirito che dell’economia.
Praticamente tutti gli studiosi sono giunti per diverse vie alla conclusione che il denaro non è un oggetto solamente reale, ma anche simbolico.
Fra tutte le possibili spiegazioni, alcune francamente stravaganti, del perché il denaro non sia mai abbastanza, mi ha convinto la tesi di Schitowsky (1977). L’economista di origine ungherese, piuttosto noto per avere scritto il controverso “l’economia senza gioia” colloca il denaro tra i “beni ardui”, cioè tra gli oggetti che vengono ricercati non tanto per l’uso che se ne fa, ma soprattutto per gli sforzi necessari a raggiungerli e per le abilità personali messe in campo per ottenerli. Molti oggetti di desiderio sono costituiti da beni ardui: le perle naturali pescate nelle profondità dei mari o le stelle alpine raccolte sulle vette dei monti. In quanto bene arduo, ricorda Claudio Widmann in una bella sintesi, il denaro induce l’uomo a tradurre in atto le sue capacità latenti: il venditore porta-porta esprime il meglio delle sue abilità seduttive, lo specialista approfondisce le proprie competenze. In altre parole non tutto il denaro è sterco del demonio: con l’obiettivo di realizzare denaro l’uomo valorizza i propri talenti. In fondo è questa l’etica del capitalismo.
Il punto però è che, se aumenta il reddito, non aumenta affatto la nostra soddisfazione , perché agiscono in noi due meccanismi psicologici che corrono in senso opposto: l’adattamento alle mutate circostanze e l’aumento delle aspirazioni. Quando acquistiamo una nuova auto, il piacere è solo temporaneo :dopo un iniziale aumento di benessere, ci adatteremo ben presto al comfort derivante dal possederla . Un secondo meccanismo è poi all’opera: l’aumento delle aspirazioni. Messa la nuova auto in garage vedremo invariabilmente passare la macchina del vicino, con un bottoncino o una lucina in più. Aumenteranno le nostre aspirazioni circa l’auto ideale e quindi, sebbene oggettivamente il nostro benessere o comfort sia aumentato, il nostro benessere soggettivo è pari o diminuito. Questo è il «paradosso della felicità » studiato da Robert Frank e Richard Layard, i quali “pesano” i meccanismi di competizione e di rivalità. La psicologia parla di competizione posizionale, nella quale si è sempre impegnati a superare gli altri. Reddito e felicità non crescono/decrescono di pari passo: se insieme al mio reddito aumenta anche quello del vicino, sono nella migliore delle ipotesi punto e a capo.
Rockerduck, (chiaro riferimento al magnate americano J. D. Rockefeller, fondatore della Chase Manhattan Bank) dotato di occhiali con stanghette e basette nere, veste in modo molto più elegante e all’inglese rispetto a Paperone: bombetta, giacca con cravatta , fiore all’occhiello e scarpe. Paperone lo chiama spesso “pivello”. Cinico e spregiudicato, ma di mentalità più aperta rispetto a Paperone, si differenzia da quest’ultimo per un grande amore per il lusso e per gli agi che la sua ricchezza può offrirgli. Il pivello cerca sempre di rovinare i piani del rivale, ricorrendo a tutti i metodi, compresi quelli più scorretti. Orrore: sperpera il denaro. Quasi sempre sconfitto, sfoga la sua rabbia per un insuccesso divorando il proprio cappello (una moderna bombetta) a morsi, alcune volte tuttavia riesce a battere la “vecchia tuba”.
Paperone è un miliardario 80enne nato in miseria e fattosi da solo, Rockerduck un giovane imprenditore che ha ereditato tutte le sue fortune. Insomma, l”eterna grande sfida americana.
L’ economia senza gioia di Scitovsky: «La felicità di una persona dipende dalla sua relazione con la felicità dei “vicini di casa” e non dal suo standard di vita in termini assoluti».