Il malocchio
16.02.2014, Articolo di Aniello Russo
Il malocchio, che mina la salute e minaccia l’equilibrio mentale, era il sortilegio più comune nella civiltà agricola. Un sortilegio che non è mai caduto in desuetudine. Esso, infatti, sopravvive nella pratica quotidiana. Così come è ancora diffusa l’operazione magica tendente a esorcizzarlo. Questa pratica, confortata da frequenti successi (effetto placebo), lascia indubbiamente confusi e perplessi. Io non sono un guaritore empirico, eppure quando mi è stato richiesto con insistenza da amici e parenti, ho praticato anch’io questo rituale magico; e il risultato è stato sempre positivo, confermato dalla prova delle gocce d’olio nell’acqua. Al termine del rituale il paziente, all’improvviso rasserenato, pronunziava parole di sollievo: “Ah, stongu megliu! Il mal di testa era come un cerchio che mi stringeva qui, alla fronte. Ne ho prese di pasticche, ma niente.”
Natura del malocchio
Secondo l’immaginario popolare, il malocchio è il potere negativo dello sguardo di chi ci invidia. Si tratta di persone malevole con il potere di gettare per mezzo degli occhi incantesimi che producono effetti talora devastanti. La vittima presenta questi sintomi: dolori lancinanti al capo; palpitazioni cardiache, vertigini frequenti. Prima ancora di curare il male, è necessario neutralizzare le emanazioni negative, ricorrendo a un guaritore magico che ha il potere di scongiurare il male o di deviarlo su un altro.
Al malocchio si addebitava ogni malanno, ogni depressione dell’animo, ogni insuccesso, anche il più piccolo intoppo: il mal tempo, il singhiozzo, un leggero disturbo… E questo sortilegio insidiava, secondo la mentalità comune, quasi tutta l’esistenza dell’uomo. Per il timore di essere colpiti e offesi dallo sguardo malefico di altri (maluocchi), si faceva ricorso a una pratica magica altrettanto violenta (contruocchi).
La pancia ingrossata di una sposa attira lo sguardo degli invidiosi, ma soprattutto suscita il livore astioso delle zitellone (vecchie zite) e delle donne sterili che hanno perduto la speranza di avere un figlio. Sicché prima ancora di venire al mondo una creatura era soggetta a influssi negativi.
Tipologie del malocchio
Appena è certa di essere incinta, una donna è presa da una gioia contenuta, perché turbata dalla paura di essere bersagliata da una malefica energia esterna. La madre e la suocera le consigliano di appuntare una spilla, come protezione magica, dietro la schiena sulla maglia intima contro la fascinazione del malocchio che tende a indurla all’aborto.
Scampato il pericolo del malocchio durante la gravidanza, più forte diventa per il neonato il rischio di essere colpito dall’invidia. Per esorcizzare questa forma di influssi maligni, la madre pone un paio di forbici nella culla, sotto il guanciale, come difesa apotropaica.
Pure la mancanza di latte nelle poppe della puerpera si riteneva provocato dal malocchio. Così una fonte di Bagnoli (Ersilia): la puerpera che non aveva più latte nel seno per colpa del malocchio, doveva tagliare un lembo del camicino della creatura e metterlo a bollire in un pentolino d’acqua; e una volta raffreddata, bere il liquido. Il resto del camicino andava bruciato o seppellito, perché l’invidioso non se ne servisse per praticare un nuovo maleficio sul bambino.
Altro momento vulnerabile era il battesimo. Conclusa la cerimonia religiosa, rientrando in casa, il neonato era sottoposto a un altro battesimo, il battesimo magico, per liberarlo dal malocchio che eventualmente aveva contratto nella sua prima uscita. A Montella (fonte: Grazia Bello), la nonna della creatura completava il rito battesimale del nipotino. In una paletta di ferro, piena di carboni accesi, gettava tre chicchi di incenso; poi passava la paletta sul corpo del piccolo, segnando nell’aria tre croci. L’operatrice seguendo un apposito rituale, recitava la formula magica difensiva:
Io ti ncènzo ra cap’a ppieri
pe cchi ti òle male
e pe cchi te òle bbene.
Se i grani di incenso scoppiettano sul fuoco è segno che qualcuno in strada o in chiesa gli ha gettato il malocchio.
Nella fase della prima infanzia un bambino era particolarmente esposto alle insidie del malocchio. All’improvviso il piccolo prendeva a piangere, a contorcersi, a rifiutare le poppate. E di colpo cominciava a deperire. Il timore di influssi malefici praticati da lanciatrici di malocchio induce la madre a scongiurarli: mentre fasciava il suo piccolo, segnava tre volte una croce sul suo corpo e avvolgeva nelle fasce un abitino contenente degli oggetti apotropaici (foglie di valeriana, un piccolo corno, l’immagine della Madonna).
Se una ragazza in età da marito non si sentiva bene, subito sospettava di avere addosso il malocchio. Allora la sera, prima di mettersi sotto le lenzuola, ricorreva a questa difesa apotropaica: rovesciava tutti i suoi indumenti intimi e così li indossava per tre giorni di seguito. La pratica è il tentativo di sviare il maleficio, camuffando la propria identità.
La prima notte di nozze era un momento delicato, vulnerabile al malocchio. Per un esito positivo dell’approccio tra due freschi sposi, madre e suocera mettevano in atto i rituali magici che, scongiurando il malocchio, propiziavano la fecondità dell’una e la potenza sessuale dell’altro. Sotto il cuscino di lei ponevano sei acini di grano e tre pizzichi di sale; e disponevano sotto il letto matrimoniale, in corrispondenza del posto occupato dal maschio, uno o più oggetti apotropaici, abilitati a tenere lontano gli influssi malefici: una falce con la punta volta verso l’alto, un fuso propiziatorio o un altro oggetto appuntito, a cui si attribuiva la proprietà di squarciare il flusso maligno degli invidiosi (Fonte: Giulia Ciletti).
Insomma, le pratiche contro il malocchio venivano attivate a ogni rito di passaggio (nascita, battesimo, matrimonio), tutte le volte che si dava inizio a un lavoro o come quando si spillava (se ngignàva) la botte del vino. Così pure il fornaio, all’atto di infornare il pane, si poneva di fronte alla bocca del forno e tracciava in aria una croce, recitando la breve formula propiziatoria:
Crisci, furnu,
crisci pane p’ tuttu lu munnu.
Il malocchio colpisce le cose belle
Tempo addietro chiesi a un’anziana informatrice, che abitava a li Agnisi, se il malocchio si gettava pure sui vecchi. Figlio mio, – mi rispose la donna che era un’operatrice magica – l’invidia si getta addosso a una creatura, a un giovanotto bello e prestante, a una graziosa fanciulla, perché si prova invidia solo per le cose belle. Passano gli anni e i malevoli manco ti guardano, sicché l’invidia (la mmiria) man mano si affievolisce fino ad annullarsi del tutto. Ha ragione il proverbio: dopo i sessant’anni (un tempo si diceva: dopo i quarant’anni!) è meglio buttarsi a mare con tutti i panni. E concluse la mia informatrice con un sorriso allusivo: “Quannu la facci s’arrepécchia e la chitarra nun sona cchiù, chi pacciu te faci lu maluocchiu?”