Un twit ci seppellirà
29.11.2013, L’approfondimento economico (di Emilio Sergio, Responsabile Settore Private della Banca della Campania SpA)
Scava e scava, nessuno ci garantisce che tutto questo grande sforbiciare e sferragliare e tagliare e cucire e stringere e ammonire serva poi veramente a evitare il grande botto. Parafrasando un verso di Umberto Saba, possiamo dire che ci deve essere stato, all’inizio dell’euro, un errore, come quando si chiude male il primo bottone della camicia. Se non si ha il coraggio di risalire al primo bottone, ci si ingarbuglia ed ingravoglia. Ci si attorciglia: si acuisce il problema.
Non a caso l’unico effetto sin qui evidente della ruvida terapia della Grande Massaia del “fate prima i compiti a casa e poi vedremo”, è stato l’accelerazione del processo di deindustrializzazione del nostro Paese, l’aumento della disoccupazione, la ghettizzazione definitiva di una intera generazione di giovani.
Bizzarro poi questo ergersi a modello di probità da parte di una Germania ossessionata dai suoi spettri, cui fa da contrappunto solo l’ irritante afasia politica di una classe dirigente europea equilibrista ed esperta solo in pratiche dilatorie. Pax germanica, ma Frau Merkel dimentica che nel 1948 l’America decise di abbuonare tutto il debito accumulato dalla Germania hitleriana, nonostante quel debito non fosse servito a produrre inutili stipendi e false pensioni come in Italia, ma qualcosa di ben più mostruoso. Fu quella la più colossale amnistia del debito (Federico Rampini, Banchieri, storie dal nuovo banditismo globale) che si ricordi nella storia dell’umanità. Il debito pubblico della Germania nel 1948 ammontava al 675% del PIL nazionale. Più del quintuplo dell’attuale debito italiano.
Questa lungimiranza fu all’origine della rinascita postbellica della Germania. Nelle intenzioni del piano Marshall doveva scongiurare una ennesima guerra mondiale. Poi una terza guerra mondiale l’hanno scatenata i banchieri. Senza morti evidenti, ma con pari conseguenze sulle finanze pubbliche degli Stati.
Aggiustamento asimmetrico: un refrain che attraversa il dibattito economico internazionale almeno dai tempi della conferenza di Bretton Woods. Quando economie dissimili decidono di condividere la stessa moneta, i Paesi ricchi diventano creditori e produttori netti e i Paesi più poveri debitori e consumatori netti. Gli squilibri delle due aree crescono nel tempo. L’avanzo della Germania (ipercompetitività concentrata dal 2002 sull’industria manifatturiera) resta intorno al 7% del Pil tra il 2007 ed il 2012 – In termini di capacità produttiva per abitante, dall’inizio dell’euro la forbice tra l’Area tedesca e quella mediterranea si è allargata.
La Commissione Ue ha pubblicato cifre che dovrebbero porre la Germania sotto la nuova procedura di «squilibrio eccessivo». L’ultimo dato sull’avanzo commerciale tedesco registrato a settembre – un record assoluto – ha alimentato ulteriormente le polemiche.
Scrive Adriana Ceretelli sul Sole 24 Ore “…Sono ben pochi a credere che Berlino accetterà di correggere il suo eccesso di surplus corrente con l’Europa, quando da sempre risponde picche al mondo intero…“.
Chi spera che tanta attenzione serva a smuovere la Germania verso una politica meno restrittiva si illude. E questo non solo per la peculiare testardaggine tedesca, ma semplicemente perché non vi è pressione internazionale che sia mai riuscita a imporre l’aggiustamento ai Paesi creditori. La correzione, quando è avvenuta, è stata frutto di un apprezzamento del cambio. Ma nel nostro caso questo significherebbe la fine dell’euro.
Neocolonizzazione: ci stiamo trasformando anche abbastanza velocemente in un serbatoio di manodopera a buon mercato e siamo costretti a svendere interi settori produttivi a prezzi di saldo. Restiamo in vita per pagare gli interessi ma senza possibilità concreta di ripagare il capitale. Dal 1980 ad oggi gli interessi sul debito italiano hanno richiesto un esborso in interesse pari a 2.141 miliardi di euro. E nessun giudice a Berlino per aprire un contenzioso sull’anatocismo.
Eccoli qui gli sconfitti di questa terza guerra mondiale combattuta con i subprime: i ragazzi della paghetta generation, Ricercatori, laureati, nuove professioni, free lance: milioni di giovani fuori da caste e palazzi. Il grande spreco di capitale umano, gli eterni post adolescenti che possono permettersi ancora la pizza del sabato sera, grazie alla pensione d’invalidità della nonna.
Auguriamo lunga vita a quest’amabile vecchietta: quando la sua pensione non ci sarà più questi ragazzi si incazzeranno di brutto e si autoconvocheranno attraverso le loro reti, le loro strade “immateriali”. Noi, i vecchi garantiti, diremo allora che si è trattato di un movimento improvviso e del tutto imprevedibile. Come la Primavera araba.
Migliaia di followers cinguettanti in attesa di un nuovo Grande Following nazionalista, probabilmente misticheggiante ed europatico. Che prima o poi twitterà: e perché dobbiamo pagare noi giovani questa montagna di cambiali che avete firmato voi vecchi?
In fondo anche la presa della Bastiglia cominciò con un twit.