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Settembre nella cultura popolare

07.09.2013, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)

Mesto mese chiudeva l’anno dei lavori nei campi e dava inizio alla nuova annata: i pastori e i proprietari terrieri assumevano i garzoni e si rinnovavano i fitti delle terre e delle abitazioni.

Nel modo di vedere dei nostri nonni, elementare ma pratico, le stagioni dell’anno erano solo due: vienu e state. L’inverno non aveva una datazione convenzionale fissa, ma prendeva inizio con la luna piena di settembre, che quest’anno cade il cinque.

La bella stagione su questi monti, un tempo, era assai breve: dal primo taglio del fieno in giugno alla bacchiatura delle noci in settembre.

Recitava un proverbio: A settembre cumm’a frevàre // nott’e ghiuornu vanne pare: a settembre, dunque, ritorna l’equilibrio nella durata del giorno e della notte. L’equinozio autunnale è un periodo di violente tempeste: quando sulla campagna si addensavano le nubi minacciose e cominciavano a scatenarsi i tuoni e i lampi, la contadina rincuorava i suoi piccoli terrorizzati: Ng’è Gesù Cristu miezz’a li campi // e nu’ nge puonne tuoni e lampi.

Giorno dopo giorno la durata del buio prende a prevalere sulla luce, e quindi la stagione invernale si avvicina a grandi passi: Priestu priestu vène viernu. Un proverbio però ammonisce a non coprirsi subito, come fosse già inverno: A li primi friddi nun te cummiglià, a li primi càveri nun te spuglià. Con il 21, festività di San Matteo, gli uccelli ci salutano incalzati dal freddo che annunzia l’inverno imminente: A santu Matteu l’auciéddu se ne vaje // e lu friddu vène.

Come altri mesi, pure questo ha un giorno connotato di magia; il dodici di settembre, in cui si festeggia il SS. Nome di Maria, era ritenuto un giorno infausto (tempus horrendum): Nu’ nsa mai lu solu a Santa Maria //, megliu a scuntà lu lupu p’ la via (Guai a esporsi a lungo al sole nel giorno di Santa Maria: meglio imbattersi nel lupo durante un viaggio).

Il rinnovo dei contratti di fitto

Il giorno otto, festa della Natività di Maria Vergine, un tempo nel nostro paese si rinnovavano i contratti di locazione delle case. A tale riguardo era diffuso un detto: Santa Maria, mezza la tua e mezza la mia; cioè, il vecchio affittuario aveva diritto di restare nella casa fino a mezzogiorno, e il nuovo vantava il diritto sull’altra metà della giornata. A Napoli, invece, i fitti scadevano il quattro maggio, mentre nell’Italia settentrionale il ventinove settembre.

Nella stessa giornata dell’otto, in Irpinia s’affittàvene, cioè erano assunti i garzoni che prestavano la loro opera nel lavoro dei campi o nella custodia del gregge. I manuali si raccoglievano in piazza, in attesa che un padrone, dopo averli visitati li assumesse: ma prima il padrone ne scrutava le mani, misurava i muscoli, gli contava i denti, proprio come si faceva per l’acquisto di un mulo o di un asino. La testimonianza è di un ex sindacalista di Ariano.

Festività del mese

La festa di San Michele Arcangelo cade nella giornata del ventinove: dopo la Madonna è il Santo più venerato in Irpinia, dove vanta diversi luoghi di culto. Oggetto di venerazione da parte della gente più umile delle zone montane, è acclamato patrono in una ventina di paesi della nostra provincia. Il culto, importato dai Bizantini, fu diffuso dai Longobardi: si pensi alla venerazione che l’Arcangelo gode ancora in alcuni insediamenti di chiara origine longobarda, come Sant’Angelo dei Lombardi. La scelta dei Longobardi è giustificata dalla connotazione dell’Arcangelo di un dio guerriero; per i nostri antenati che ancora non erano riusciti a liberarsi da certe forme di religiosità pagana, San Michele fu accolto inizialmente perché ripeteva sia nella iconografia che nelle attribuzioni divine il dio Mercurio, armato di spada anch’esso e dotato di ali ai piedi o alla testa, oltre che guida delle anime.

Nelle nostre terre spesso si affacciavano orde di soldati minacciando stragi e saccheggi. Di fronte al pericolo la gente d’Irpinia invocava con fede l’aiuto di San Michele, l’angelo guerriero. E fu appunto San Michele che intervenne a liberare l’Irpinia dall’attacco di un folto esercito di saraceni: l’Arcangelo prima trasformò in soldati tutti gli alberi del bosco e poi, messosi alla loro testa, li guidò contro i nemici ricacciandoli oltre i monti.

L’accoglienza che la fede popolare degli irpini gli riservò, ha però motivazioni più profonde. Il luogo del suo culto è sempre la grotta, in cui Egli abita a protezione dei boscaioli e dei contadini. E’ l’unico Santo che non ha nulla di umano, posto tra il cielo e l’oltretomba; è anche colui che pesa le anime e ne giudica la destinazione. Recita un detto: “Ra San Michele ngi vai ra muortu, si nu’ ngi vai ra vivu!” Da San Michele sei costretto ad andarci dopo da morto, se non gli fai visita da vivo nel suo santuario! San Michele ha in comune con Mercurio la funzione di condurre le anime nell’Oltretomba.

La SS. Croce viene festeggiata a metà mese, il 14 per la precisione. La ricorrenza imponeva alle donne di astenersi dalle faccende casalinghe abituali: Santa Croce //, nun se taglia e nun se cose. A quei tempi alle donne era consentito, anzi imposto, di riposare solo tre giorni all’anno. Gli altri due giorni erano: il sei gennaio (A Pasqua Befanìa // nun se tesse e nun se fila) quando vigeva il divieto di sbrigare qualsiasi lavoro; e il 26 dicembre, Santo Stefano, quando le donne non dovevano neppure infilare l’ago né adoperare il pettine per acconciarsi (Nun sse mette lu filu a l’acu // e mancu lu pèttenu ncapu).

Il clima favorevole ai frutti

Se settembre sarà caldo e asciutto, consentirà la maturazione dei frutti autunnali: Settembre càvuru e assùttu // faci maturà ogni fruttu. I cercatori di funghi sanno che i porcini (re menéte) escono dopo determinate condizioni climatiche: necessita prima un periodo di caldo e dopo una precipitazione d’acqua almeno per una giornata intera, senza però che la temperatura si abbassi. Se piove poco, l’acqua non penetra nella terra indurita dall’eccessivo calore estivo, nun ammacca mancu la pòvela! Il giorno successivo, alle prime luci dell’alba bisogna già essere nei boschi per cogliere i porcini. C’è chi dice di aver visto con i suoi occhi il fungo spuntare da sotto terra, mettendo all’aria il cappello.

La castagna non è molto esigente, le va bene qualsiasi clima. Ma fino ad agosto, perché a settembre, l’anema ca se cummènza a furmà int’a lu nginu (l’embrione della castagna che va formandosi nel riccio) teme il gelo, che ne blocca la crescita, ma anche le piogge eccessive che provocano lo sviluppo dei vermi nella castagna.

                                                                                                       

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