“Confessione”
04.07.2013, La poesia (di Pasquale Sturchio)
Confessione
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Sono malato
Sono molto malato
Da troppo tempo sono malato
Sono malato terminale!
“Adamica malattia la mia!
La mia malattia… sei tu!”
Sei la mia incredibile affezione
Sei la mia medicina preferita
Sei la mia ippocratica custode
Sei la mia ginnastica terapeutica…
Guarir non voglio più
Da questa si bella malattia!
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P.S. secondo l’illustre ricercatore (grazie al suo “animalesco osmè”) prof. Giusmaran un’ ottima soluzione per curare la malattia adamica è una terapia naturale a base di jankijate.
Commento di Giuseppe Marano:
Anche la nuova fatica-delizia del Nostro si schiude o esplode in fioritura notturna violenta: “Son malato e non c’è da fare! Però” dice ed avverte subito “guai a chi me la tocca questa malattia che trasumana il mio essere portandolo alla delizioso culmine supremo dell’anestesia o anaffettività. Anche qui il nostro poeta si affida all’onda eversiva d’uno pseudoermetismo, che man mano rivela il…velo sempre più blando trasfondendosi nell’immagine illustrativa quale miglior commento figurativo dell’elegia.
Più che un’eccessiva autoesaltazione carnascialesca (di primo acchito tale balza) al limite dell’esubero deflagrante, è una sommessa preghiera che trova il ritmo del parlar sommesso e contrito della…confessione…Ma poi pian piano il suo diventa visibile parlar, ascende ad inno al creato! Benedizione e esternazione di somma riconoscenza al destino-trascendenza-Dio, non ci va per il sottile il poeta, non si lascia impigliare come l’indugiante sole primaverile nella peluria del crinale, non è un problema di identitificazione, non interessa, ma una questione di essenza!.
La confessione apparentemente brutale, della malattia si trasfigura, ad una lectio intensa penetrazione del testo, in religioso inno di ringraziamento e di autoesaltazione per aver sortito in dono il prezioso privilegio della malattia stessa che si rivela nella benedizione della vita, nell’unico motivo focus che la vuota fatica dell’esistere riempie di senso (e di sensi) inesausta tensione all’assoluto irraggiungibile che stimola perennemente verso un vedo non vedo, ce la faccio non ce la faccio…
La sfida, che per Pasquale è la scommessa dell’esistere che lo trascina imperiosa a percorrere il cimitero immenso di marcescenti macerie di gloria, intravede un profilo d’eterno femminino, che incenerisce queste scorie dell’esistere nella folgore. L’ascoso seme ispirativo dell’inno elegiaco è condensato concentrato minutamente ravvolto nelle nanospire dell’ esistere, nella segreta promessa di sviluppo, di speranza d’approccio, incontro-scontro con l’immmagine fantasmatica estenuante divenuta cretura bruciante.