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“Serenata a Monna Lisa” – Presentazione il 3 marzo

01.03.2013, Il libro di Antonio Cella

L’Associazione socio-culturale “Palazzo Tenta 39″ PRESENTA il libro “Serenata a Monna Lisa”” di Antonio Cella. L’appuntamento è per Domenica 3 Marzo 2013, alle ore 18:00, presso la Sala Consiliare (ex Santa Caterina) in Via Roma a Bagnoli.

Interverranno: Aniello Chieffo, Sindaco di Bagnoli Irpino;  Luciano Arciuolo, Assessore alla Cultura del Comune di Bagnoli Irpino; Paolo Saggese, del Centro di Documentazione Poesia del Sud;  l’autore Antonio Cella;  l’editore Fortunato Iannaccone.  Modererà Michele Gatta, presidente dell’associazione “Palazzo Tenta 39”. La cittadinanza è invitata a partecipare.

Al termine della kermesse verrà offerto un “gustoso” e ricco buffet.

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04.03.2013,  di Antonio Cella (intervento alla presentazione del libro” Serenata a Monna Lisa”)

“Serenata a Monna Lisa”… Quando scatta la sinapsi!

Ora tocca a me. Dedicatemi, per favore, questi ultimi dieci minuti della serata, necessari per esprimere il mio ringraziamento alle persone intervenute alla cerimonia e per parlare di cose non citate nel romanzo. Nel breve intervento, mi lascerò guidare dagli appunti scritti, non perché non sia capace di parlare a braccio, ma per i motivi che seguono.

Quando scatta la sinapsi, quella connessione funzionale tra una cellula nervosa e l’organo periferico di reazione, non sempre si ottiene in modo immediato la reazione programmata, specie nelle persone di una certa età.

E’ il mio caso!

Ormai navigo nel mare della senilità avanzata e, per i motivi appena esposti, mi capita sovente di parare il fianco agli scherzi che la natura riserva ad alcuni anziani. Quello che colpisce la mia persona, oltre all’incedere con andamento cauto, piuttosto lento, è soprattutto l’anomia, quella forma acuta, improvvisa, di momentanea dimenticanza dei nomi di persone e cose che, a volte, mi fa sentire come un idiota, come un estraneo in mezzo a una marea di amici. Anche se poi, degli stessi amici e parenti ricordi a memoria, paradossalmente, il numero di telefono e il giorno del loro compleanno.

Il non ricordare il nome delle persone nel momento giusto è, dunque, la penalità che mi è stata inflitta: cosa assai grave e ingiusta, perché mi espone a sguardi carichi di un misto di curiosità e dispregio e a scandagliamenti introspettivi, da  parte  delle mie  vittime  di  turno, che  mi fanno tremare le palpebre. E, per mettere riparo a tutto questo che faccio? Prima di rivolgermi ad esse indicandole con aggettivi del tipo: “coso”, “guagliò” oppure “bella signora”, mi cimento in una straordinaria spremitura di meningi finché non ottengo il nome proprio delle stesse. E’ sicuramente un lavoraccio.

Quando poi, come in questo momento, devo cimentarmi in argomentazioni di rilevanza culturale, e come quando nei Consigli Comunali devo relazionare su bilanci e conti consuntivi, per vincere l’anomia o, eufemisticamente, l’extrasistole mnemonica, faccio ricorso alla parola scritta che, vi assicuro, è di una comodità incredibile e mette al riparo dalle figuracce.

Fatta questa precisazione, passo immediatamente alla trattazione dell’argomento che ci ha qui riuniti, in questo ex convento di suore dove, da ragazzo, con l’ausilio di un amico, figlio del sacrestano della chiesa, “birbante” quanto me, e con la complicità dell’immagine del “Cuore di Gesù”, che all’epoca stava rinchiusa nella nicchia addossata alla parete a sinistra dell’entrata, facevamo scorpacciate  di  ostie  consacrate  fabbricate  nel convento  dall’ottuagenaria Suor Maria Teresa, sottraendole furtivamente dal tabernacolo prima dell’inizio della messa costringendo, così, nel momento della comunione, vecchi e “bizzoche” di ogni età a restare in ginocchio sul fronte della balaustra con la bocca aperta per lungo tempo, come passerotti in attesa del cibo.

Dove, come, e quando è nato il mio romanzo?

E’ nato in una città incantevole che si chiama Noto, localizzata nella Provincia di Siracusa, da me visitata nel settembre del 2010. Tra i suoi monumenti spiccano, oltre al Duomo e alla chiesa di San Domenico, una miriade di palazzi settecenteschi, nati dopo la distruzione della città vecchia, a causa del terremoto del 1693. Quei caseggiati maestosi sono letteralmente ricoperti di rilievi decorativi di marmo, di legno, di stucco e di metallo, che rappresentano banderuole, emblemi araldici, animali e mostruose figure umane di fattura neo-barocca, eseguiti ad arte dai maestri siciliani dell’epoca.

Le figure che mi hanno veramente affascinato, e che han dato al mio estro narrativo la stura, l’input, per imbastire il lavoro, sono incastonate soprattutto nella struttura delle protomi che sostengono le basi in pietra delle balconate dei menzionati palazzi. Mi hanno fortemente colpito la fantasia da farmele rinascere nell’immaginifica cittadina di Sazzano, dove il protagonista del romanzo, Rocco Gambone, vive la sua storia di uomo di bell’aspetto che piace alle donne:  imprenditore agricolo,  musicofilo e  avvocato a tempo perso.

Tutto il romanzo, come ampiamente commentato negli interventi di chi mi ha preceduto, è imperniato sulla figura di quest’uomo straordinario di buona cultura. Lui discetta di storia, di filosofia, di musica, di religione, ed è preso a tal punto dal suo “presuntuoso sapere” da azzardare giudizi gratuiti sull’operato del Creatore e sul comportamento di Ponzio Pilato meritevole, a suo dire, di una sorte migliore.

Il suo modo di amare le donne è infarcito da un misto di invaghimento e passione, che non hanno nulla in comune con l’amore vero, quello che, come lui stesso asserisce: “… scatena passioni e desideri carnali e ti fa assistere al concerto di migliaia di violini e canto di usignoli”.

L’amore, quello vero, che in ogni essere umano esplode prima o dopo, a prescindere dall’età, gli cammina accanto, di cui lui si accorge soltanto quando, da un esame del profondo dell’anima emerge, prepotente, la figura di Elena, ragazza di sani principi che invoca verso l’uomo, di cui conosce le qualità umane e intellettive, un suo intervento che possa aiutare a risolvere la querelle che vede in lotta i  braccianti agricoli di Bisaccia e dell’Alta Irpinia verso i latifondisti del posto, possessori, tra l’altro, di vaste aree di terreni agricoli, incolti e abbandonati. E’ la parte storica del romanzo, questa, dove la realtà è la stessa  degli anni cinquanta,   così come la si evince dalle cronache riportate nella stampa dell’epoca, che ho pedissequamente osservato e spalmato nelle frame della narrazione.

Qualcuno, dopo la lettura del mio lavoro, mi ha chiesto: “ Non credi di essere stato un tantino blasfemo nel parlare di Dio e delle belle donne volute per completare l’arazzo del paesaggio di Sazzano?”

La mia risposta è stata, ed è, di assoluto diniego.

Non penso che nei giardini dell’Eden l’Onnipotente possa aver usato, come esca per Adamo, il prototipo del corpo di Tina Pica. Se le cose fossero andate così, non avrebbe mai ottenuto quel capolavoro del “peccato originale” e avrebbe lasciato incompleta la sua opera creatrice delle meraviglie del mondo. Avrebbe, inoltre, vanificato anche la venuta di Cristo tra gli uomini: non ce ne sarebbe stato più bisogno in assenza del “peccato”.

Non sono ateo, né materialista. Sono un umile lavoratore della  ricerca  intellettuale e spirituale, libero  dalle  servitù, indipendente nel modo di pensare e giudicare. Ho voluto soltanto umanizzare la figura di Dio, ponendola virtualmente tra gli uomini.  Sono stato  piuttosto  audace, questo sì. Evidentemente, la differenza che passa tra me e l’accusatore risiede nel fatto che lui, l’accusatore, è sicuramente un fondamentalista cattolico, ubbidiente alla parola della Chiesa e abituale frequentatore dei riti religiosi. Io no, poiché vedo in Dio la figura del buon padre di famiglia, dell’uomo probo, altruista, del fratello, dell’amico reperibile in ogni istante e in ogni luogo sempre pronto a tendermi le mani, che vive tra la gente e che spesso, nello scorrere del romanzo, cito e invoco con il dovuto rispetto e la dovuta riverenza.

Tutto qui.

Ora smetto di dissertare. Non ho nessuna intenzione di annoiarvi.

Vi ringrazio per avermi onorato della vostra presenza.

Ringrazio, innanzitutto, la D.ssa Rosaria Patrone che mi è stata vicino nelle fasi di rifinitura del romanzo; ringrazio il Prof.  Pasquale  Sturchio,  che   ha   scritto   una   simpatica, benevola, sintesi recensiva  del mio lavoro; ringrazio il Prof. Paolo Saggese e consorte per il bell’articolo sul giornale “Il Mattino” e per il dotto intervento critico riconducibile al romanzo;  ringrazio l’Editore Fortunato Iannaccone che mi ha sopportato con pazienza; ringrazio la Prof.ssa Anna Maria Corso per le belle parole e i complimenti inviati al mio indirizzo di posta elettronica; ringrazio Michele Gatta e Mimmo Nigro, “Deus” di Palazzotenta39, che hanno organizzato l’incontro e pubblicato sul blog dell’Associazione le prime notizie relative alla pubblicazione del libro. E, infine, il mio commosso ringraziamento è rivolto soprattutto verso le persone di Nello Chieffo e Luciano Arciuolo che mi hanno spronato a procedere verso la presentazione del mio modestissimo lavoro che, proprio perché tale, credo non meritasse tanta attenzione.

Grazie a tutti voi.

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08.03.2013, di Paolo Saggese (da”Il Mattino” del 02.03.2013)

Rocco e le sconfitte del popolo nero del Formicoso

La recensione al libro “Serenata a Monna Lisa” di Antonio Cella.

Ormai da alcuni anni, l’Irpinia sta conoscendo una notevole vivacità culturale, tale da rendere persino difficile riuscire a cogliere e dunque a seguire con attenzione tutti i fermenti, che pullulano nei piccoli, ma ancora vivi, presepi apparentemente cristallizzati nella loro immutabilità. Da ultimo, conferma questa ricchezza intellettuale un centro tra i più interessanti dell’entroterra, noto come la «piccola Firenze d’Irpinia», ovvero il paese del tartufo, della castagna e del Laceno, che risponde al nome di Bagnoli Irpino.

Del resto, da Michele Lenzi a Belisario Buccia Onorio Ruotolo, per arrivare a Tommaso Aulisa, a Ferdinando Rogata, ad Aniello Russo e dunque ai due Arciuolo (Luciano e Agostino), questo piccolo, ma solido centro conferma i fasti culturali che sin dal Seicento hanno onorato la sua storia. Adesso, arricchisce questo quadro incoraggiante Antonio Cella, già autore de «ll cortile dei pazzi» (Napoli, 1989), di «Cronache di poveri cristi» (Napoli, 2000), di «Giulio Acciano. Poeta satirico dialettale» (Bagnoli, 2008), che ha di recente edito il romanzo «Serenata a Monna Lisa» (Mephite ), che sarà presentato domenica, alle 18,30, presso la Sala Consiliare di Bagnoli Irpino, alla presenza anche del sindaco Aniello Chieffo, di Luciano Arciuolo e di Michele Gatta, presidente dell’associazione «Palazzo Tenta 39».

L’opera di Cella, in particolare, diviene occasione per rievocare sì una vicenda d’amore ricca e dolorosa, e dunque di amicizia, che assume risvolti drammatici, ma anche per raccontare l’Irpinia dell’immediato dopoguerra, tra il 1948 e il 1952, anni di grande speranza, ma anche di profonde tensioni sociali e politiche. In particolare, tra storia e reinterpretazione letteraria, il protagonista, Rocco, giovane di buona famiglia e di buone speranze, entra in relazione con eventi e personaggi di rilievo della storia politica e culturale, quali, ad esempio, Fiorentino Sullo e Nicola Vella oppure la lotta per l’occupazione delle terre incolte, che fu episodio epico dell’incompiuto tentativo di liberazione contadina.

Le pagine di Antonio Cella, con eleganza espressiva, richiamano gli scritti di Antonio La Penna, di Pasquale Stiso, di Nicola Arminio, di Silvestro Amore, di Ruggero Gallico e dello stesso Vella, ed evocano speranze e sconfitte del popolo del Formicoso, che riconosceva nella rivendicazione delle terre ai braccianti la palingenesi mai avuta.

Rocco Gambone, partendo da un’esistenzada viveur di provincia, raggiunge una maggiore consapevolezza degli umori e delle necessità della propria terra, dà prova di equilibrio e di senso di giustizia, conosce in tal modo se stesso e la vita. In questo recupero della storia minuta e minima, ma non per questo secondaria, del popolo nero d’Irpinia- come avrebbe detto Levi per i Lucani -,un posto ha anche la storia grande e la cronaca nazionale. Infatti, c’è spazio anche per raccontare di un personaggio oggi ignoto, ma in quegli anni famoso, quell’ Antonio Pallante, originario di Bagnoli, che ordì l’attentato a Palmiro Togliatti il 14 luglio 1948. I clamori della vicenda, allora, arrivarono sino in Irpinia, ad una guerra stava per subentrarne un’altra.

Tra storia e cronaca, con una buona scrittura sorvegliata e scorrevole, Antonio Cella coglie, dunque, anche l’occasione per raccontare pagine importanti della nostra storia, riprendendo indirettamente progetti letterari portati avanti da figure d’intellettuali quali Claudia Iandolo, Cecilia Valentino, lo stesso Luciano Arciuolo, che sanno raccontare alle generazioni future quel passato, che è necessario conoscere per comprendere il nostro presente. Ma si sa: la storia è un’ottima maestra di alunni distratti, che siamo tutti noi.

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24.03.2013, La recenzione al libro (di Nicola Di Monaco)

Amore e morte tra Sazzano e Bisaccia

Dietro il sorriso, ambiguo e intrigante di Monna Lisa, storie di un’Irpinia che fa fatica a riprendersi dalle macerie della guerra e che cerca una sua nuova identità politica dopo il tracollo del fascismo. Antonio Cella torna al racconto della sua terra con una storia d’amore e una amicizia struggente e fatale. Sullo sfondo di lotte contadine e di un legame profondo a tradizioni e abitudini millenarie

Eccoli lì, in parata, i personaggi di Monna Lisa: Rocco, Elena, Michele davanti a tutti. A seguire Salvatore Gambone, il Dottore Brosio, Don Egidio, il barbiere, il farmacista. E poi Idea, i genitori di Michele, i genitori di Elena, la madre di Rocco. Una folla, poi, di gente semplice, uomini e donne, tra Sazzano e Bisaccia, il verde intenso e la neve dell’alta Irpinia. Non mancano neppure, nella parata, le donne del quarto stato, povere, oneste, intraprendenti, con i bambini in braccio e che, in una taverna fredda e polverosa, un soffitto casa e bottega di ragni bianchi e neri, gridano i loro bisogni e con un applauso doloroso firmano la sconfitta di Rocco Gambone. Onnipresente e sornione un gatto, Lucignolo. Il romanzo di Antonio Cella, edito dalle Edizioni Mephite di Atripalda, segna il suo ritorno alla scrittura, un cammino che riparte da luoghi che gli sono cari e che ama con l’intensità che solo gli amanti sanno esprimere. Non manca la colonna sonora, una serie di serenate che attraversano il paesaggio e le storie che Cella racconta come un antico aedo, accanto al focolare, con cura dei particolari e frequenti richiami a tradizioni, costumi, abitudini. Un concertino, un cantante solista sempre disponibile, e il freddo pungente della notte si anima di gridi d’amore e di passione, sia che i balconi restino muti, sia che il canto si sciolga in un abbraccio che chiude i conti con il destino. E’ la serenata, antica tanto da sprofondare nel lontano medioevo, che fa da contrappunto all’ambiguo sorriso di Monna Lisa e titola il romanzo. Frutto di una ricerca paziente, attenta, minuziosa, Antonio Cella ricostruisce in maniera certosina il clima degli anni 50 del secolo scorso nell’Irpinia del dopoguerra, povertà e miseria compagne della speranza e dell’attesa di una primavera sociale solo annunciata e promessa. La campagna elettorale a Sazzano, nel 52, è un autentico capolavoro e la fotografia di una realtà vissuta e sofferta. Bilancia e Tromba, l’incombente Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, con i nostalgici della monarchia a fare da terzi incomodi, in un gioco leale e crudele, epopea di un paese nel quale la speranza non si arrende, ma che la realtà condanna a scegliere per non morire sotto il peso della miseria. E’ in questo contesto che Antonio Cella fa vivere ed agire i suoi personaggi e i sentimenti che li animano. Rocco, la star, ultimo di generazioni cresciute e arricchite con la terra, una sorta di nobiltà agraria di periferia, intelligente e in fondo di buoni sentimenti, amato e rispettato, è costretto a fare i conti con una realtà che non gli appartiene e non lo comprende, amicizie e amori, ideali e trappola nello stesso tempo. Michele, cresciuto in casa Gambone come un figlio, personaggio con una sorta di spleen cucito addosso, silenzioso, taciturno, amico fedele e incompreso, brucia d’amore ma appende i suoi sogni e la sua malinconia ad un albero, un personaggio che sembra uscito dal pennello di Munch. In contrappunto i due personaggi femminili, Elena e Idea: testarda, modello di amori antichi e tutti di un pezzo, la prima, figlia di una cultura che si porta addosso i sogni e le tradizioni dell’Irpinia, la prima; fatale, complicata, contraddittoria, donna moderna e di un mondo che si colloca fuori orizzonte, la seconda. Entrambe belle, bellissime; ma di una bellezza diversa, agli antipodi. Amori che riconsegnano Rocco alla sua terra e che bruciano Michele. Rocco perdente di successo, il ricordo dell’altro consegnato al muto linguaggio di una croce su di una scheda elettorale. Sullo scenario di un’Irpinia povera e che fatica a riprendersi dalle macerie della guerra, Antonio Cella, crea e fa muovere le fila di storie che hanno l’amaro sapore della realtà, ma anche il magico richiamo della favola.

Antonio Cella – Serenata a Monna Lisa – Edizioni Mephite, Atripalda – euro 14

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La locandina


                                                                                                       

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