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Febbraio corto e amaro. Ma c’è carnevale

12.02.2013, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)

Solo posteriormente gennaio e febbraio furono aggiunti in capo all’anno al calendario tradizionale. E se il primo mese fu dedicato a Giano (lat. Ianus), quale divinità del passaggio (lat. ianua, porta) e di tutto ciò che inizia e che finisce, febbraio (lat. Februàrius) fu consacrato al dio Febbruus, divinità della purificazione dei campi, celebrata dai pagani a metà febbraio per placare i morti con sacrifici e offerte.

Un vago ricordo di questa festa di purificazione potrebbe essere l’antico rito canoro di Segalavecchia, che si realizzava nelle campagne irpine fino ad alcuni decenni addietro, a metà quaresima, e si concludeva con la combustione di un fantoccio (la Vecchia) rappresentante l’anno vecchio; il rito era celebrato per purificare la campagna per mezzo del fuoco e per propiziare il nuovo raccolto. In epoca posteriore febbraio è assurto a mese connotato di sacralità e di prodigi, considerato tempo di passaggio (intervallum temporis), in attesa della primavera e di una buona annata. Il giorno delle Ceneri, 13 febbraio, era l’occasione per trarre gli auspici per il raccolto: se la prima a salire sull’altare a ricevere le Ceneri era una donna grassoccia, il raccolto sarebbe stato senz’altro buono e abbondante.

Febbraio corto e amaro

Un tempo, per ottenere previsioni del tempo attendibili, il contadino irpino scrutava le giornate (erano quattro in tutto l’anno) che determinavano il tempo nei quaranta giorni successivi; l’evento rinvia ai 40 giorni del biblico diluvio universale. Il primo dei quattro snodi dell’anno, segnato da forti mutamenti meteorologici, è il 2 febbraio, festa della Candelora: Cannelòra, si nun gghiocca e nun chiòve, n’ate quaranta ne tenìmu ancora. Questa la certezza del nostro campagnolo: il bel tempo del due di febbraio si ripete per tutti i giorni fino al tredici di marzo. E in queste giornate serene il sole penetra ovunque, perché la durata della luce del giorno si è allungata sensibilmente. Insomma, la Candelora mostra di affrettare il risveglio della natura e apre la stagione dei lavori nei campi. Le testimonianze dei vecchi, la memoria storica della nostra cultura popolare, attestano che in febbraio si registravano le temperature più rigide dell’anno, tanto rigide da costringere il vitellino a tremare di freddo pure nel caldo abbraccio del ventre materno: Si frevàru si mette lu cappiéddu, nguorp’a la vacca trema lu vutiéddu. Insomma per il mese di febbraio è sufficiente mettere un cappello di neve alle cime di monti, come il Cervialto o il Terminio o il Partenio, per far calare bruscamente la temperatura e propinarci un freddo che penetra fin dentro le ossa. E meno male che febbraio è corto (frevàru, culu curtu: dalla coda mozzata), perché se avesse avuto la coda lunga, cioè altri tre giorni, avrebbe potuto congelare finanche il vino (cosa altrimenti impossibile!) nelle botti: Si frevàru tenésse tutti li juorni, facésse ilà puru lu vinu int’a la votta.

Apro una parentesi per un’amenità: febbraio, in quanto mese monco perché si interrompe al 28° giorno (al 29°, ogni quattro anni), offriva il destro al detto paradossale: Ngi verìmu a li trenta r’ frevàru. Vale a dire: mai! M’ammarìtu a li trenta r’ frevàru, diceva con un sorriso amaro la zitella non più tanto giovane. Continuando: se febbraio è un mese freddo e nevoso perché è il cuore dell’inverno, è altrettanto vero che mette fine alle lunghe nevicate: La neve r’ frevàru è cumm’a la nzogna r’ Carnuvàlu, cioè la neve in febbraio si scioglie come a Carnevale si consumava tutta la sugna rimasta, perché l’indomani con la quaresima comincia il periodo di astinenza dai cibi grassi, che dura fino a Pasqua.

I giovedì grassi e Carnevale

Febbraio, corto e amaro, è vero! Ma l’amarezza legata a questo mese non è solo dovuta al rigore del clima; il mese reca con sé pure l’afflizione dell’astinenza quaresimale, che era ancora più dura da sopportare. Proprio quando avevamo maggiore bisogno di calorie, noi mettevamo a dura prova il nostro corpo già costretto a sopportare il rigore del clima. L’astinenza dai cibi grassi era imposta più che da una norma devozionale (quaresima, in ricordo del digiuno di Cristo nel deserto), dalla scarsità di riserve alimentari, lamentata dal contadino allo scadere del’inverno. E la dieta in questo periodo era a base di patate, legumi e verdure; e per giunta, ogni pietanza rigorosamente scondita. Però, prima di sottomettersi al regime della quaresima, il contadino si concedeva ben cinque giornate di gozzoviglia, dando fondo ai cibi più sostanziosi (prosciutto, salame, carne) e non rinunziando ad abbondanti bevute fino a raggiungere spesso lo stato di ubriachezza. Le cinque giornate erano costituite dal martedì grasso di Carnevale (quest’anno cade il 12) e dai quattro giovedì delle settimane precedenti, i giovedì grassi, che nel 2013 hanno tale scadenza: Il primo (17 gennaio) è lu gioverì r’ li cumpagni, si faceva bisboccia con gli amici; il secondo (24 gennaio) è lu gioverì r’ li cumpari, si banchettava con i compari di cresima e di matrimonio; il terzo (31 gennaio) è lu gioverì r’ li parienti, al terzo banchetto erano invitati i parenti; il quarto (7 febbraio) è lu gioverì r’ li pezzienti, il quale era aperto a tutti.

In quest’ultimo giovedì grasso, si dava fondo a tutte le riserve alimentari, consumando gli insaccati più scadenti, detti appunto pezzienti; e per non sfigurare con gli ospiti, il padrone di casa si piegava anche a contrarre i debiti: Chi nun tène nienti se mpegna puru lu mantiellu! C’era un detto: So’ fenute re quattu mangiate, per esprimere l’esaurimento delle risorse alimentari e l’inizio della dieta quaresimale; e per estensione, per indicare ogni momento di ristrettezze. Anche queste manifestazioni che quest’anno prendono inizio da Sant’Antonio Abate, 17 gennaio, e terminano il martedì di Carnevale, passando attraverso i quattro giovedì grassi, a detta dell’antropologo, discenderebbero da arcani rituali di propiziazione agricola. I giorni fausti e infausti Tra i dodici mesi dell’anno la cultura popolare aveva individuato i mesi che erano fausti e i mesi che erano infausti per le persone; i giorni propizi e i giorni non propizi; e all’interno della stessa giornata i momenti più favorevoli per compiere determinate operazioni. L’anno bisestile, nella credenza popolare, era segnato da disastri e da rovine, tipo alluvioni, terremoti, carestia, che colpivano la comunità tutta. Ma il giorno 29, aggiunto al mese di febbraio, non porta bene neppure alle donne che per quella data si trovassero ancora gravide: Quannu frevàru è r’ vintinove, pover’a la fémmena ca prena se trova. Chi, poi, viene al mondo nella giornata del 29 di febbraio acquisterebbe il potere di avvertire la presenza delle ombre senza corpo e di tutti gli abitanti di Casa del Diavolo; e avrebbe pure la virtù di parlare con le anime dei defunti. L’anno bisestile era carico di magia, perché il tempo si fermava, come nella notte di Natale; il 29 febbraio è un giorno vuoto, per cui chi nasceva allora era ritenuta una persona sinistra, uno segnato insomma. Secondo l’immaginario popolare, in ogni mese vi sono soltanto tre giorni fausti. Chi nasce in uno di questi tre giorni, per tutta la vita sarà fortunato e, come recita un detto, anche il gatto gli farà le uova. Ma nessuno sa quali siano questi giorni. Nel mese di febbraio, però, forse è possibile individuare i tre giorni fausti. Ed essi sarebbero: 1. il due di febbraio, festa della Candelora, che viene quaranta giorni dopo il Natale, in cui si benedicevano le candele che poi si legavano alla spalliera del letto, a ccapu liettu. Si conservavano per accenderle quando un familiare si ammalava o quando incombeva la minaccia di una grandinata rovinosa per le coltivazioni. Inoltre, la legna tagliata o segata in questa giornata non è soggetta a marcire, purché l’operazione sia eseguita a calata di sole. 2. il tre di febbraio, San Biagio, giorno della benedizione delle ciambelle considerate una potente difesa (funzione apotropaica) contro il mal di gola (Rituale romanum: contra gutturis aegritudinem); e l’immunità dura per tutto l’anno. 3. il cinque di febbraio, Sant’Agata, un tempo venerata in Irpinia come protettrice delle fanciulle innamorate. Secondo un’antica credenza, all’adolescente, che per nove sere di seguito conta nove stelle in nove angoli diversi della volta celeste, la Santa nella notte che precede la sua festa manderà in sogno la visione del giovane che sarà il suo futuro sposo.

Da Irpinia magica di Aniello Russo

                                                                                                       

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