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Giustino Fortunato e l’Arcadia ritrovata

26.10.2012, Il Mattino (di Paolo Saggese)

Un viaggiatore dell’Ottocento tra i Monti Picentini: Bagnoli ricorda il grande meridionalista.

L’Irpinia più bella, quella che affascina il viaggiatore della domenica come l’amante della natura, è l’Irpinia in autunno, con i suoi colori, i suoi profumi, il suo vento puro, cui si aggiungono l’odore dell’uva, del mosto, del vino, delle castagne, dei tartufi, della montagna.

Il nostro viaggiatore, ipotetico o reale, che volesse riscoprire questa Arcadia perduta, ritrovare se stesso e una natura rigogliosa e antica, provenendo da Roma o Napoli, da Salerno o ancora dalle Puglie, potrebbe uscire al casello di Avellino- Est, e proseguire in direzione Montella – Lioni, lungo la nuova Ofantina. Oppure, provenendo da Reggio Calabria, potrebbe raggiungere l’Irpinia uscendo a Contursi- Terme.

Il nostro viaggiatore, che arriva da Avellino, dopo le gallerie che non solo idealmente separano la bassa dall’alta Irpinia, resterebbe incantato dai contrafforti e dalle vette selvose di Volturara, Montemarano, Serino, Montella, Bagnoli Irpino. Questi monti sono ancora luogo incantevole e incontaminato, sede non a caso di un Parto Regionale – quello dei Monti Picentini -, luogo che affascinò un grande meridionalista, in una delle sue escursioni in Irpinia, l’alba del 30 luglio del 1878, raccontata nel volumetto «Il Partenio e il Terminio » (1880).

Raggiunta la vetta del Terminio, ecco infatti le sensazioni di Giustino Fortunato: «La veduta era estesissima a noi intorno, e dapertutto veramente – dai poggi irpini ai contrafforti lucani, dall’acuminato Vesuvio all’ampio Vulture sorridente, su monti e valli di mille colori, fra cielo e mare d’una sola tinta cilestrina, – dapertutto regnava dolcissima una quiete serena e splendeva ineffabile una luce tersa e dorata, una luce benigna, che dava all’animo non so che impressione profonda di calma e di riposo. Era una di quelle immense vedute così frequenti su l’alto Appennino, che distraggono più che non sogliano richiamare o fissar occhio: solo la Celica, aerea, l’arditissima Celica fatta a mo’ di forca, attirava distinta lo sguardo a cinque miglia in linea retta e,come tutte le altezze solitarie flagellate dai venti, s’ imponeva maestosa e solenne».

Qui, come Giustino Fortunato, il viaggiatore o l’appassionato della montagna potrà godere di una natura pura, incantaminata, godere di acque limpide e straordinarie, «godere più piena e più pura la coscienza della vita».

E così scendiamo verso Montella, con le parole ancora di Giustino Fortunato: «Provavo ormai quel benessere indefinibile, che i grandi spettacoli della natura sogliono infondere nel cuore dell’uomo subito riprendo il cammino a mezzo del Piano di Verteglia, che veramente è la più deliziosa valletta che si possa immaginare, io pensava all’età mitologica dell’oro, al beato regno di Giano e Saturno, ai buoni terrigeni pastori del nostro Appennino: pensavo alla gentile egloga vergiliana, all’idillio amoroso di Dafni e Cloe, alle primavere sacre degli antichi popoli italioti».

Queste selve, questa natura pura e perfetta, ricordano all’intellettuale Virgilio e i canti bucolici, ricordano le «Avventure pastorali di Dafni e Cloe» di Longo Sofista. Non a caso, si ritiene che l’Irpinia e questi monti in particolare abbiano ispirato il più famoso libro del Quattrocento e uno dei più imitati della letteratura europea sino alla Rivoluzione francese, l’ «Arcadia» del Sannazaro, che, sul finire del secolo XV, fu ospite dei Cavaniglia di Montella e Bagnoli, in particolare tra il 1499 e il1501, come sa lo stesso Fortunato.

Ma lasciamoci ancora guidare da Giustino Fortunato lungo la discesa verso Montella, sino al Castello longobardo e quindi alla piazza centrale del paese – dove si fermò a prendere un caffè, in un locale non identificabile – prima di proseguire verso San Francesco a Folloni.

Giunto a Bagnoli, avviene l’incontro con il «signor Michele Lenzi, il simpatico Lenzi, valoroso garibaldino quanto egregio pittore», divenuto di recente sindaco: incontro tra vecchi amici, cordiale, ricco di affetto, che diede sollievo e gioia all’instancabile viaggiatore. Con il sindaco e pittore, uno degli intellettuali irpini più importanti del secondo Ottocento, Fortunato organizza l’ ascensione al Laceno, l’altopiano ammirato dal poeta e scultore Onorio Ruotolo e, poi, nell’estate del 1956, da Alfonso Gatto. Intanto, nella valle tra Bagnoli e Montella, si respira ancora aria di pace e di sacro, con il Convento di San Francesco a Folloni, che vide il passaggio del Santo d’Assisi, e in alto il Santuario del Santissimo Salvatore, e di fronte quello di Santa Maria della Neve, con in cima il castello. Questi luoghi hanno ispirato tanti poeti e scrittori, tra cui Aurelio Benevento (nato a Cassano Irpino nel 1927), che ha scritto questi versi: «Sui monti del Laceno / Sono tornato ai monti invernali / Dopo tanto tempo / E alla fine del tempo / Ma ormai è tardi / Vi sono soltanto macchie di neve / In mezzo alla terra nera e motosa / Poche ore dopo che la neve s’è sciolta / Sull’erba strinata dal gelo / Sono già nate sul ciglio / Le prime viole dei monti / Con il puntino giallo-arancione / E la vista si perde nel silenzio infinito / Dando la vertigine / Che provò centomila anni fa / Francesco Petrarca / Sul Monte Ventoso».

                                                                                                       

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