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13.04.2012, Articolo di Pasquale Sturchio

(La poesia nei Racconti di Luciano Arciuolo)

“Era là, seduto su una scatola vuota, appoggiato al muro, appena un po’ dietro ad unadi quelle bancarelle … I capelli ricci fino all’inverosimile lasciavano del tutto scoperto il suo viso nero carbone, mentre sulla fronte ampia si aprivano due occhioni che si guardavano attorno spauriti ma attenti. Indossava una maglietta stinta ma pulita e minuscoli pantaloncini rossi. Le mani nerissime stringevano una mela alla quale, di tanto in tanto, dava morsi distratti.

Era seduto là dietro, quasi nascosto alla gente, e dal suo nascondiglio osservava quella festa che doveva sembragli così lontana, scacciando ogni tanto la mosca che aveva preso di mira la sua mela.

Cerco di immaginare la disperazione che avrà spinto i suoi a portarlo con loro in questo viaggio verso l’ignoto, inevitabilmente disperato, inevitabilmente destinato a segnarne la vita, il carattere, la personalità.

Cosa avrà provato la madre, stringendogli la mano e dicendogli vieni, strappandolo alla fame per portarlo in mondo più ricco ma anche più estraneo, lontano, indifferente?

Cosa gli dice quando si volta a guardarlo, quando gli si avvicina e gli tocca i capelli increspasti?

Si è mai pentita di aver seguito il suo uomo, di aver costretto a seguirla quel batuffolino di ovatta nera?

Ma perché penso questo? Forse il piccolo è contento, felice di essere qua, di essere uscito dall’orizzonte di fame e di sabbia del suo paese, si diverte a girare per le feste e paesi, ad aiutare suo padre a montare la bancarella, a raccogliere e riporre la merce, a vederlo guidare la sua automobile rumorosa e fumante, a dormire sul sedile posteriore…

Non è facile giudicare e capire. Bisognerebbe, per farlo, ragionare a stomaco continuamente vuoto, a vivere nel pericolo di morire per fame e per malattia.

Come faccio a capire cosa dicono quegli occhiuzzi vivi e stanchi? Come farò mai a capirli?

Ecco, mio padre, se fosse vivo, potrebbe capirli. Mio padre e tutti quelli che come lui un bel giorno, guardando in faccia ai loro figli, pensando al loro futuro e sforzandosi di immaginarlo diverso dal proprio, vincendo l’istinto che li teneva legati a questa terra così bella ma cosi ingrata, raccolsero poca roba, la chiusero in una scatola di cartone e partirono verso l’ignoto, verso luoghi lontani e sconosciuti.

Mio padre e tutti quelli come lui hanno dovuto stringere i denti, chiudere gli occhi davanti alle umiliazioni ed ai cartelli di divieto, che hanno vissuto per anni in un clima di apartheid, quelli si, saprebbero leggere in quegli occhi tristi e profondi.

Caro piccolo mucchietto di carbone, che posso fare per te, per aiutarti senza farti sentire umiliato?

Che posso fare, che possiamo fare per aprire un sorriso sul tuo volto di ebano?

Che posso fare, anche quando ci rendiamo conto che il nostro benessere è una rapina al tuo diritto a vivere?

< papà, papà- mi corre incontro Agostino- vedi che mi ha comprato mammina!> mostrandomi orgoglioso la sua conquista quotidiana, che domani sarà già rotta o dimenticata: un lungo camion di plastica, con tante macchine da trasportare.

< papà chi è quel bambino?>

< si chiama Ahmed> invento.

< perché è cosi nero?>

< perché la sua pelle è nera, come quella di suo padre, vedi?> Agostino scruta con attenzione la scena, ma è certo di non aver capito.

Lo ha chiamato bambino. Prima che nero, per lui, Ahmed è un bambino. Strano, diverso, meno elegante forse, ma un bambino.

< Perché non giochi con Ahmed, gli fai vedere come si caricano sul camion queste belle macchinine?> Agostino salta giù dalle mie braccia, attraversa la bancarella passandoci sotto e assieme vanno a sedersi ai lati della scatola vuota, tirano fuori il camion… Agostino gli parla,  Ahmed annuisce… non  credo capiscano qualcosa di quello che l’altro dice ma il linguaggio del gioco è universale e allora ridono contenti, mostrando i loro denti bianchi e sottili, e ridono ancora quando Agostino tocca quelli d’avorio dell’altro…

Noi li guardiamo in silenzio, commossi, noi quattro, non solo io e mia moglie e commossi, senza dir niente, ci guardiamo sorridendo!

Ecco cosa possiamo fare, noi tutti:

Far sentire loro di essere uguali, mostrare la loro solidarietà di persone vive, che esistono e li vedono e li aiutano a sorridere. Ragionando, una volta tanto, col cuore, oltre che con la mente.”

Avrei preferito non aggiungere alcuna riflessione a questa “musica poetica” estratta da uno dei Racconti di Luciano Arciuolo, Delta 3 Edizioni, 10.00 euro (1 euro a Racconto, ottimo investimento in tempo di crisi economica!) ma faccio miei alcuni versi di Agostino e Luciano Arciuolo: “ Un giorno, a migliaia/ verrete fuori dall’ombra,/ uno ad uno,/ e tutti insieme/ irromperete nelle nostre strade,/ come massa critica/ che esplode e prende forma:/ con auto e cassonetti/ innalzerete barricate,/ e i semafori/ saranno trincee di guerriglia urbana./ Quel giorno io sarò con voi.”

                                                                                                       

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